il ricordo
Questo paese deve più di qualcosa ad Angiolo Bandinelli
Se l’Italia è un paese diverso e migliore, più giusto e più solidale con i più deboli, lo si deve anche se non soprattutto alla generazione di cui era parte. Ecco perché avrebbe meritato maggior riconoscimento pubblico
Una risata, un marameo. Immagino che così Angiolo Bandinelli saluterebbe i “ricordi” che si usa pubblicare, quando una persona cara se ne va “altrove”. Bandinelli i lettori più assidui del “Foglio” lo ricordano bene: le sue belle, fluviali paginate nell’edizione del sabato; e le “colonnine” il mercoledì, dove da attento e partecipe, rispettoso laico, scandagliava il mondo cattolico, le sue evoluzioni e contorsioni. Non per un caso si ritrovava con Giuliano Ferrara, con cui sarà entrato in dissenso mille volte, ma di cui apprezzava (e diceva di invidiare) la folgorante intelligenza e la sapiente, seducente apparente istrionica capacità di “stupire”.
Bandinelli faceva parte di quell’Italia che ci ha regalato un po’ di aria fresca e pulita, insofferente com’è sempre stato verso qualsiasi tentazione illiberale; tra i protagonisti di una stagione ricca di fermenti politici e morali che solo in parte sono riusciti a cambiare l’Italia. Per tutta la vita Angiolo è stato fedele a quel programma che aveva assimilato da Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Marco Pannella, ed era diventata una sua seconda pelle. Non è mai stato un Goliarda dell’UGI, ma quell’aria, quell’atmosfera era la sua cifra: «Goliardia è cultura e intelligenza, è amore per la libertà e coscienza della propria responsabilità di fronte alla scuola di oggi e alla professione di domani; è culto dello spirito, che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di una assoluta libertà di critica, senza pregiudizio alcuno, di fronte ad uomini ed istituti; è infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel Mondo il nome delle nostre libere Università di scholari».
Facciamo un “salto” nel tempo. I radicali di Pannunzio, Rossi, Arrigo Benedetti, dopo infelici avventure elettorali, gettano la spugna: chi guarda i repubblicani, chi i socialisti. Un pugno di “giovani” non si arrende, decide di tener vivo il Partito Radicale: con Pannella e pochi altri (i fratelli Aloisio e Giuliano Rendi, Gianfranco Spadaccia, Sergio Stanzani, Massimo Teodori), c’è anche lui, Angiolo. A questa pattuglia dobbiamo uno dei più bei testi che siano stati scritti, verrà pure il giorno che una facoltà di Scienze Politiche si deciderà a studiarlo a fondo: lo Statuto del Partito Radicale, elaborato a metà degli anni ’60 a Faenza, e poi a Bologna: congresso a data fissa e non quando lo decide il segretario; possibilità a chiunque (chiunque!) di potersi iscrivere unico requisito il pagamento della quota associativa; nessuna possibilità di espulsione, non esistono neppure i probiviri; possibilità (auspicata) di iscritti con doppia tessera; per ogni iscritto, non importa con quanti anni di iscrizione alle spalle, il diritto di partecipare al congresso, parlare, votare, presentare documenti. Un sogno? Un’utopia? Forse sì. Ma è con questo sogno e questa utopia che il Partito Radicale è diventato anno dopo anno il più antico partito sulla scena politica. E poi, sempre con Pannella, l’intuizione del Partito Radicale Transnazionale Transpartito Nonviolento.
Angiolo è stato anche deputato, e consigliere comunale a Roma. Ha sempre onorato le istituzioni in modo impeccabile, convinto, da autentico liberale e libertario, di trovarsi a far parte del “tempio della libertà e della democrazia”, anche se con amarezza a volte aggiungeva: che dovrebbe essere il “tempio”, e invece non lo è. Toscano di Chianciano, il 21 marzo prossimo avrebbe compiuto 95 anni. Scrittore, traduttore, autore di poesie delicate e di traduzioni dall’inglese e dal francese (Stevenson, Eliot, Baudelaire), una grande passione per Victor Hugo, di cui raccoglieva le prime edizioni originali… Con Pannella ha condiviso un “vissuto” che gli consentiva di “capirlo” e interpretarlo anche solo con un’occhiata, un’inflessione di voce, un silenzio; e senza, per questo essere mai perdere un’oncia della sua autonomia di pensiero. Anzi: il consiglio della sua critica, a Marco erano preziose; quante volte, nelle riunioni di partito, è capitato di assistere a furibondi “scazzi” che facevano presagire storiche e irreparabili rotture. Poi l’abbiamo capito: era “semplicemente” passione che coltivavano entrambi, e che li ha uniti sempre e fino alla fine. Poche persone sono state leali con Pannella come Angiolo: che tanto ha dato, e certamente non ha ricevuto, in termini di pubblico riconoscimento, quanto avrebbe meritato (l’affetto, la considerazione, la ri/conoscenza no: quelle non sono mai venute meno).
Chi scrive ha conosciuto Bandinelli in anni ormai lontani, quelli esaltanti perché anche in Italia ci fosse una legge che consentisse di divorziare, quegli anni Settanta che non sono stati solo gli anni di piombo e del terrorismo, ma anche, soprattutto, una grande stagione di civiltà e progresso: statuto dei lavoratori, riforma sanitaria, legge sull’aborto, obiezione di coscienza, voto ai diciottenni, nuovo diritto di famiglia, abolizione del regime manicomiale. Ha disseminato le sue idee, le sue opinioni, le intuizioni e “visioni” in una quantità di giornali e pubblicazioni: “Agenzia Radicale”, “Notizie Radicali”, “La Prova Radicale”; e in non so quante riviste e giornali; e i libri. Ne cito alcuni: “La perla”; “Sette donne”; “Racconti evangelici”, “Giardini crudeli”, “L’Infingardo”, “Il radicale impunito”…
Sempre sorridente di quel sorriso lieto e sornione di chi ne ha viste tante e tante superate, nei momenti che contano, quelli che ti restano e segnano, non mancava mai; sapeva trovare la parola, il tono giusti per rincuorarti e darti nuova energia quand’eri stanco e avvilito. Nel Pantheon delle persone che hanno onorato questo paese e a cui dobbiamo qualcosa, uno dei posti d’onore è per lui.