“Dobbiamo vivere questo dramma come se accadesse qui”, dice la presidente del Bambino Gesù
Intervista a Mariella Enoc, alla guida dell’Ospedale pediatrico romano, che osserva come la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina le pare “particolarmente aggressiva, animata da una sete di distruzione”
Mariella Enoc ha la voce spezzata. Il bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol, che il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha definito una “base del battaglione Azov” che, anche se fosse vero, nulla toglierebbe allo strazio “non sopportabile” dei bambini, l’ha colpita nel profondo. Con la presidente dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, “l’ospedale dei figli del mondo” come ama definirlo, che solo nel 2020 ha accolto e curato a titolo umanitario circa 120 bambini provenienti da 40 paesi, principalmente Libia, Siria e Repubblica Centrafricana, le zone dove la guerra sembra meno vicina ma non per questo tace, avevamo appuntamento da qualche giorno per parlare dell’accoglienza ai piccoli ucraini bisognosi di cure.
L’orrore del pomeriggio di mercoledì 9 marzo ha ribaltato ancora una volta le prospettive: “Abbiamo superato tutti i limiti della violenza”, dice. Un conflitto non dichiarato, estraneo ai codici internazionali, in questa parte del mondo non si era ancora vissuto, in nessun momento della storia, e lascia senza fiato. “Spero che i pediatri russi facciano sentire la loro voce. Urlino che questo non è possibile, che c’è un limite al quale non si deve arrivare mai. Non si possono fare morire sotto le macerie bambini che già soffrono”. L’ospedale d’Oltretevere è vicino alle attività pediatriche di Mosca: nel 2019, con il ministero della Salute della Federazione russa, firmò un memorandum di intesa per potenziare la collaborazione bilaterale su progetti pediatrici specifici, e da anni è attivo con programmi di formazione specialistica in ambito neurologico e neurochirurgico del personale medico del Morozov Children’s City Clinical Hospital di Mosca e del Moscow Research and Clinical Center for Neuropsychiatry, oltre che con progetti di sviluppo di protocolli per la diagnosi e la cura dei bambini affetti da epilessia. Enoc conosce quei corridoi, quei volti: spera che non tacciano e “anche noi”, dice, “dobbiamo vivere questo dramma come se accadesse qui”.
In questi ultimi anni la presidente Enoc ha curato piccoli “bruciati al 70-80 per cento” a causa del conflitto siriano, ma osserva che la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina le pare “particolarmente aggressiva, animata da una sete di distruzione”. Nei giorni scorsi, a Roma era arrivato il primo piccolo paziente ucraino: poco più di un anno di età, diagnosi di paralisi cerebrale infantile, aveva smesso di assumere i farmaci per controllare le convulsioni epilettiche perché nel paese straziato dalle bombe russe i medicinali sono diventati merce introvabile. Due giorni fa i nuovi ospiti del nosocomio infantile erano saliti a 10, arrivati con mezzi propri o di fortuna; ieri se ne erano aggiunti altri due; due sono stati dimessi. Ora, “in coordinamento con la Protezione civile, la Croce Rossa e la regione”, è pronta a partire per la Polonia un’équipe formata da due medici e un’infermiera, nell’obiettivo di alleviare l’impegno che grava sugli ospedali locali, ma Enoc, che Papa Francesco definisce spesso “la cardinalessa”, ha già dato disponibilità per l’accoglienza di altri bambini: si attende un numero importante di pazienti oncologici, insieme con le loro famiglie.
“E’ una goccia nel mare, lo so, il cuore direbbe di fare molto di più e faremo tutto il possibile”. Nell’ambito dell’accoglienza alle famiglie, la presidente si dice ragionevolmente sicura di poter offrire luoghi e spazio per l’integrazione e il sostegno: “Abbiamo una rete di case famiglia che va rafforzandosi sempre di più”. La gestisce la Fondazione Bambino Gesù Onlus, impegnata nella raccolta fondi per la formazione all’estero, l’accoglienza di chi proviene da fuori regione e che è pari al 30 per cento, la mediazione culturale (l’esigenza di integrazione in corsia riguarda anche molte famiglie che vivono in Italia ma provengono da paesi lontani) e ovviamente la cura di questi bambini, privi di qualsiasi copertura economica sanitaria. “In Libia stiamo formando équipe di medici e infermieri, in lingua araba”, precisa. Quasi 200 persone coinvolte: “La medicina ha bisogno di operatività sul campo”.
Il 22 marzo verrà avviato il centro per le cure palliative a cui la presidente Enoc tiene molto e che andava sviluppando da tempo. Unire in un solo universo semantico, il concetto “bambino” e “cure palliative” è già difficile e doloroso: “Vorrei che questi bambini tornassero nelle loro case e che quello non fosse il luogo della fine della vita, ma di un passaggio. Senza accanimenti terapeutici, accuditi con amore. Come dice Papa Francesco: “Quando non si può guarire, si può almeno curare”.