Il racconto

Una mattinata con gli attivisti per il clima che bloccano il Raccordo

Gli ambientalisti di "Ultima generazione" occupano il GRA. I pendolari ormai li conoscono (e li maledicono: "L'ambiente? Guarda che state facendo: tutti fermi col motore accesso!"). Irritazione e incomprensione. Sembra di essere in una scena di "Un Sacco Bello" di Verdone

Gianluca De Rosa, video di Giorgio Caruso

“Si vabbè, ma quanto dura ‘sta manfrina?”, chiede con una punta d’irritazione un’automobilista che concede pazienza, ma con un disco orario. “Finché non arriva la polizia”, replica secco l’attivista, prima di chiarire con non violenta gentilezza: “Di solito massimo mezz’ora e ci caricano di forza, non si preoccupi”. Anche questa mattina gli attivisti di Ultima generazione, la campagna di disobbedienza civile lanciata dai più arrabbiati militanti di Extinction rebellion, il movimento non violento per il clima, hanno occupato il Grande raccordo anulare. Secondo episodio in pochi giorni, dodicesimo a Roma da dicembre, al quale andrebbero aggiunte le azioni sulla Tangenziale est di Milano, a Massa Carrara, Agrigento, Padova, Mestre e Pavia.

  

I pendolari del Gra ormai li conoscono. Si capisce dalle grida che arrivano dall’altra carreggiata. Quella non bloccata. “Avete rotto il cazzo!”, “Menateje!”, “L’ambiente? Guarda che state a creà: tutti fermi col motore accesso, a fenomeni!”. Loro serefici ricordano: “125 comuni sono senz’acqua, il disastro è già qui”. E veramente sembra di essere finiti in un “Sacco bello” di Carlo Verdone. L’incomprensione tra stralunati e gente comune è la stessa, ma la cricca hippie del verdoniano Ruggero era innocua, qui invece si blocca il Raccordo e l’irritazione è molto più alta.

  

Tutto è cominciato circa 20 minuti prima. Ai giornalisti l’appuntamento carbonaro viene dato via messaggio. Ci si vede davanti a un bar, da lì si potranno seguire gli attivisti. A patto di tenere ben nascoste le telecamere. Sono in 11, con età variabili: dai 20 anni di Bjork, studentessa di Filosofia a Milano, ai 59 di Giulio, giardiniere in pensione di Reggio Emilia. Solo una cosa li accomuna: vengono tutti dal nord Italia. Torino, Cuneo, Verona, Belluno, Padova... “Con il sud abbiamo un problema”, ammettono. E pensare che il quinto d’Italia che rischia, a loro dire, di diventare desertica è proprio quello. Si muovono con due auto: una ibrida, l’altra pericolosamente a benzina. Ma come gli ambientalisti con le auto inquinanti? “Avevamo solo queste macchine a disposizione”. Poi si indignano per l’appellativo: “No, non chiamateci ambientalisti”, dicono. E come sennò? “Siamo cittadini arrabbiati. Ci interessa l’ambiente, ma qui la cosa è più grossa, è una questione di vita o di morte, non si può ridurre all’ecologia”. Le richieste concrete sono tre: stop alla riattivazione delle centrali a carbone, alle trivellazione e attivazione immediata di presunti 20 gigawatt di rinnovabili bloccati.E come fare con la guerra in Ucraina e la crisi energetica? Boh. Nonostante siano solo le otto meno venti del mattino, accade il paradosso: per arrivare al Gra, gli aspiranti “bloccatori” del raccordo, e il gruppetto di giornalisti che li segue, rimane impantanato nel traffico.

  

Arrivati, gli attivisti scavalcano il guardrail, sventolano i gilet catarifrangenti e, tutti insieme, si siedono. Eccoci: quattro corsie occupate. “Dobbiamo lavorà”, “Perché non annate davanti a Montecitorio?”. Cominciano le grida. “Aho, ma se foste voi a dover fare la maturità oggi?”, strilla una signora preoccupata per la prima prova della nipote. C’è anche chi tenta metodi più morbidi. “Con gentilezza, mi fai passare, ho mia mamma in ospedale”, dice un motociclista. “Non posso, abbiamo tutti dei motivi per ignorare ogni giorno la crisi del clima”, replica Cloe Bertini, 24 anni, una laurea triennale in neuroscienze a Londra e un diploma di danza a Milano, titolo che spiega bene come fa, in spaccata sull’asfalto bollente, a bloccare da sola un’intera corsia.

  

Beatrice, 29 anni del torinese, studi di veterinaria, conversione all’ambientalismo per gli incendi in Val di Susa (“No Tav? preferisco parlare solo di clima”, dice) è un po’ l’ideologa del gruppo. E dunque va chiesto a lei come pensa di sensibilizzare la gente impedendole di andare a lavorare. “Le proteste più pacifiche – dice – non hanno funzionato: creano consenso su una causa che non dà fastidio a nessuno, fanno fare hastag e storie, ma non cambiano il sistema perché non lo disturbano. Così crei un fastidio, ma desti attenzione: oggi, vedo, siete in sette giornalisti…”. Sa a memoria tutti i reati per cui ogni volta vengono denunciati: interruzione di pubblico servizio, violazione del foglio di via, resistenza a pubblico ufficiale… ne riconosce persino la giustezza. “D’altronde – spiega Manuel, bellunese di 30 anni, operaio nautico in un’azienda di barche a vela – il senso della protesta è questo: pagare anche con la nostra fedina penale il prezzo dell’attenzione verso una causa per la quale bisogna fare in fretta”.

   

Alla fine a perdere la calma ci pensa un operaio. Pelato, sulla sessantina e in divisa da lavoro arancione. Ne nasce un siparietto con un’attivista. “Ma andate a bloccare Capri, non il raccordo! Qui c’è gente che deve andare a lavorare”. E perché?”, le risponde lei. “Per mangiare”, risponde lui facendo con la mano il gesto di portarsi qualcosa alla bocca. “Non ci sarà più cibo tra poco, lo sa?”. “Aho, io ho fatto il Sessantotto. Ci hanno fatto un culo così, queste so’ solo cazzate, oltrettutto vi state inimicando la popolazione”.

“Non ci interessa”.

“E allora sei un’elitaria”, sbotta lui. Poi scuotendo la maglietta arancione: “Quando ti metterai questa addosso, quando farai quello che ho fatto io con il sindacato, andrai a prendere le manganellate, allora ti rispetterò. Così no”.

  

Arriva la polizia. Gli agenti riescono a creare un varco spostando di peso due attivisti e fermandoli sul ciglio della strada, ma la manifestante ballerina riesce a ritappare ogni buco. Ci vuole un bel po’ per sgomberare la carreggiata. Gli attivisti si sdraiano, rotolano, sgusciano via dalle prese degli agenti. Si va avanti per dieci minuti. Poi, alla fine, riescono a mettere tutti sulla corsia di emergenza. Per portarli via serve un pullman. Vengono caricati di peso. “I belive i can fly!”, canta , Alessandro 40enne veronese, mentre lo trascinano su. Sono le 09.30, il traffico riprende.