Le presunte molestie di Richetti. Perché è sciocco dire “credo sempre” alla vittima e “non le credo mai”
Per maneggiare un caso di violenza sessuale ci vuole metodo e attenzione. E la vicenda del senatore di Azione non fa eccezione
Credi alle vittime, credi alle vittime! “Ma non credo che sia il punto di vista giusto. Penso che sia giusto invece ascoltare la vittima”. E poi indagare, cercare prove, rinforzare o smentire la sua testimonianza. Perché le testimonianze sono fragili e non bastano – vale per tutto e non è un giudizio, non è sfiducia o volontà di colpevolizzare chi denuncia. Nei casi di violenza sessuale può essere perfino più difficile perché le analisi forensi possono non essere conclusive e dimostrare l’assenza o la presenza del consenso può essere impossibile.
Che fare? C’è una regola migliore delle altre? Ascoltare, indagare, cercare prove è la regola di Stacy Galbraith. Il suo nome non vi dirà niente ma forse avete visto la serie Unbelievable, che è l’orribile storia di uno stupratore seriale abbastanza furbo e attento a non lasciare tracce raccontata da Christian Miller e da Ken Armstrong, prima in un articolo (nel 2016 ci hanno vinto meritatamente il Pulitzer) e poi in un libro (A false report. A true story of rape in America).
Galbraith è una delle due detective che hanno arrestato Marc O’Leary e che hanno dimostrato che la prima testimonianza di Marie – la prima vittima – era vera. Perché poi Marie, aggredita e stuprata da un uomo mascherato, aveva mischiato i ricordi, si era chiesta se non fosse stato un brutto sogno e poi aveva detto di aver inventato tutto. Chissà se questa storia sarebbe andata diversamente se Marie avesse incontrato subito Galbraith e non un poliziotto distratto e magari più interessato alle sue contraddizioni che a cercare di capire cosa fosse successo. Chissà se si potevano evitare gli stupri successivi.
Da questa storia potremmo imparare tante cose. L’ostinazione e l’attenzione, prima di tutto, di chi deve indagare. Che chi denuncia spesso non è una vittima perfetta (ma poi che vuole dire?), può dimenticare o confondere dei particolari, può contraddirsi (la memoria è inaffidabile, la memoria di una aggressione così terrificante figuriamoci). Non è detto che una testimonianza confusa e contraddittoria non sia vera, non è detto che una testimonianza coerente e precisa sia vera. Gli errori e la distrazione, le risorse scarse o mediocri, l’incapacità di collegare i casi e l’affezionarsi a una ipotesi che ci convince – gli intoppi che possono deviare le indagini sono tantissimi. Ci penso spesso. Ci ho ripensato in questi giorni dell’affaire del senatore presunto molestatore, della presunta inchiesta e della presunta vittima.
Penso anche a quanto sia difficile suggerire che il presunto carnefice non dovrebbe essere giudicato colpevole e condannato prima di aver ascoltato, indagato, cercato prove. E a quanto sia complottista usare qualsiasi dubbio riguardo a quella condanna e alla certezza della colpevolezza come dimostrazione: “Ah, ma allora vedi perché le vittime non denunciano?”. (Complottista come metodo, cioè dimostrare in modo circolare quello che avresti dovuto dimostrare con prove vere.) O per invocare la violenza sistemica, pensando così di poter giustificare la sciatteria del giudizio del caso singolo e di non cadere nelle trappole induttiviste.
Poi è certamente vero che denunciare può essere sgradevole, un secondo massacro, anche solo perché ci saranno mille occhi a spiare la tua vita, e diventerai solo quello – la vittima. Ma il rimedio alla indubitabile “distrazione” del passato – ricordo sempre che fino a ieri lo stupro era una offesa alla morale – non può trascurare i modi. E che se al posto di “non credo mai” ci mettiamo “credo sempre” non è necessariamente un miglioramento. E che non basta capirne le ragioni, e non basta la buona volontà. Io non so che cosa è successo e spero che qualcuno avrà la pazienza e la tigna di Galbraith. Io non so cosa è successo e nessuno può saperlo – a parte i diretti interessati – eppure quasi tutti fingono di saperla lunghissima, per posizionamento o per scemenza. E non perché non credo alla vittima – c’è davvero bisogno di dirlo? Forse sì, c’è bisogno, e magari non mi eviterà di essere risucchiata nella parte di chi “vuole giustificare il mostro”.