l'analisi
La tragedia di Ischia e la solita litania di bufale
Prevedere le alluvioni si può, se si parlasse di scienza e non di bombe d’acqua
Sei giorni dopo il tragico evento della colata di fango a Casamicciola si può tentare una riflessione più meditata. Quelle che hanno occupato i giornali e i talk-show in questi giorni, sono state riflessioni rivolte in primo luogo a chiamare in causa gli avversari politici per responsabilizzarli dell’accaduto, a mettere in primo piano le colpe di chi ha autorizzato condoni edilizi, ad accusare o assolvere sindaci, a mettersi in prima linea nelle condoglianze. Ma nessuno che abbia parlato con competenza del fenomeno idrogeologico specifico, del combinato pioggia e geologia, dell’effettivo margine possibile per un’allerta efficace. Eppure il fenomeno non è certamente una novità, non per l’Italia in generale, non per la Campania specificatamente.
Sarno, provincia di Salerno, non è molto distante dall’isola d’Ischia. La colata di fango di allora aveva gli stessi ingredienti, per il suo innesco, di ora: un pendio a forte inclinazione, una superficie rocciosa coperta da deposito vulcanico friabile che può essere mobilizzato da precipitazioni abbondanti che lo fanno scorrere sulla superficie rigida sottostante, a originare la micidiale colata. Ma anche pensando alla specifica località è stato ricordato che nel 1910 il re si recò a Casamicciola per visionare il disastro causato da un analogo nubifragio, proprio come quello attuale. Eppure, ecco scatenarsi la solita litania dell’“evento eccezionale”, della “bomba d’acqua”, del “cambiamento climatico in atto”.
Proviamo ora a dire ancora una volta che queste sono frasi fatte, vere bufale che bisogna contrastare sul nascere, prima che si partoriscano nuove inutili leggi volte a coprire l’inefficienza dei corpi tecnici che dovrebbero dare allarmi tempestivi e gestire correttamente tali eventi. Continuo a ripetere per l’ennesima vota che il clima non può non cambiare, che il cambiamento è connaturato al clima. Il riscaldamento globale (l’aumento della temperatura dell’aria due metri dal suolo, mediato su tutto il pianeta) è di sette decimi di grado per secolo dai primi decenni dell’Ottocento, nei due secoli nel quali si può parlare di misure raccolte con termometri. Poi ricordiamo che l’equazione di Clapeyron ci dice che questo aumento di temperature porta a maggiore vapore d’acqua in circolazione in atmosfera con leggero aumento (di pochi per cento) di intensità dei fenomeni convettivi, che Miami non è ancora finita sott’acqua e che le inondazioni fanno più danni – con dati a partire dai primi del Novecento – non perché in aumento come frequenza, ma perché è aumentata la popolazione, e quella parte sconsiderata di essa che si ostina a costruire case e fabbriche sui terreni golenali o soggetti a inondazione. I ghiacciai possono avanzare e ritirarsi come hanno sempre fatto nella storia del pianeta. Ora si ritirano (non tutti però) ma non sarà sempre così.
Ma ecco che devo dire ancora una volta, ed arriviamo al punto vero, che di alluvioni non si vede mai una documentazione decente al radar meteorologico. Dalla Valtellina alla Versilia, dall’alessandrino alla Sardegna, da Genova alle Marche, nessun evento è stato documentato al radar: nel lontano passato perché i radar non c’erano davvero, ora perché sono nelle mani di persone incompetenti, che ne possiedono le chiavi ma non sanno usarli come si deve. Quando si sa che una perturbazione è in arrivo (e ce lo dice in maniera affidabile la previsione meteorologica numerica) bisogna passare dal monitoraggio generale a un’osservazione speciale, secondo protocolli particolari, dei soli echi radar a rischio. Dall’esame delle immagini satellitari corrispondenti, alla sovrapposizione dei dati convenzionali (di superficie e in quota) in quella che si chiama “procedura di Nowcasting”.
La pioggia che cadrà al suolo sta in alto nella nube e la si può misurare in anticipo, anche quantitativamente. Si introduce il dato nei modelli di bacino. Più piccolo è il bacino, maggiore è il ruolo della precipitazione convettiva nel causare l’esondazione. I modelli idrologici, se correttamente alimentati dai dati del radar, producono una previsione di alluvione accurata perfino nel prevedere la sezione del corso d’acqua dove avverrà l’esondazione, con un anticipo che può variare dalle decine di minuti all’ora; anticipo che, se comunicato alla popolazione in modo tempestivo, può portare a salvare vite umane e proteggere i beni. L’avere sottolineato in passato le gravi carenze della Protezione civile (Prevedibile, imprevedibile, Rubettino Editore) mi è costato molto, personalmente. Ho subìto una vera persecuzione. Sette anni fa, Gianantonio Stella ha commentato il mio contribuo del libro con un articolo sul Corriere della Sera. Da allora è iniziata una azione combinata Cnr-Protezione civile (Curcio, Gabrielli, De Bernardinis, Borrelli) contro di me. Sulla necessità di un paese avanzato di avere una radarmeteorologia e un Nowcasting al livello delle nazioni avanzate mi sono espresso in ogni occasione, da direttore del massimo istituto dei ricerca del Cnr del paese (Fisbat poi Isac) senza che cambiasse l’atteggiamento dei responsabili degli enti e dei politici. Così la solita litania delle bombe d’acqua si ripete e i propagatori di bufale continuano nella loro non certo lodevole occupazione preferita.
Ma ciò che è ancora più grave, e lo dico con chiarezza ma anche con amarezza, ora che non ho più una posizione ufficiale nella ricerca e all’Università, è che i colleghi ancora in servizio effettivo non sostengono i diritti della ricerca, accettano supinamente errori di un Cnr irriconoscibile, almeno in questo settore. I miei sforzi per portare la radarmeteorologia di ricerca ai livelli delle nazioni più avanzate erano ben visibili ma per omertà essi non hanno difeso la ricerca, quando i due radar del mio progetto in Puglia sono stati ridotti a ferraglia e dal 2018 non hanno prodotto più un’immagine dei temporali. Nessuna solidarietà mi è venuta dai colleghi quando sono stato estromesso dal progetto e dall’Istituto Isac, quando l’associatura mi fu negata (43 le domande, negata solo a me e a due colleghi a me vicini), col mio radar di ricerca su mezzo mobile abbandonato nel parcheggio dell’Area Cnr di Bologna. Sono realtà sulle quali riflettere, e in generale sulla qualità della ricerca in fisica dell’atmosfera del paese, ora che si chiamano giornalisti a parlare alle conferenze scientifiche, si dà spazio ai luoghi comuni alle affermazioni non dimostrate alla responsabilità al 98 per cento dell’uomo nel riscaldamento globale, e si scambiano i report dell’Ipcc come verbo della vera scienza.
Franco Prodi
Accademia Nazionale delle Scienze