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il “Vivaverdi” 2022

Lo "scontro" politico alla Prima del Teatro alla Scala

Fabiana Giacomotti

Giorgia Meloni sul palco reale contro Giuseppe Conte (virtualmente) in platea con i senzatetto. Ma vince Armani

La versione 2022 del “Vivaverdi”, sempre attiva dal 1859 e a prescindere dal compositore rappresentato perché, in termini di narrazione politico-sociale, quello che va in scena sul palcoscenico della “Prima” del Teatro alla Scala conta un po’ meno di quanto accade fra il palco Reale e la platea, prende l’aspetto di Giuseppe Conte, che a Milano sarebbe anche un primo ballerino del Piermarini specializzato in ruoli molto maschi, tipo matador, seduto fra i senzatetto della sede Opera Cardinal Ferrari, zona Bocconi, a godersi la “Prima della Scala Diffusa” come un intellettuale radical chic dei bei tempi andati.

Se il regista del “Boris Godunov” Kasper Holten ha voluto sempre in scena un bambino con le vesti insanguinate nel ruolo dello zarevic assassinato Dmitrij, come arrière pensée shakespeariano dell’usurpatore, Conte che racconta di tenere a bada il populismo “fra gli ultimi” nel giorno in cui la premier Giorgia Meloni è stata minacciata di morte da un pasionario del Rdc è invece l’arrière pensée della bionda, piccola signora che siede nel palco reale con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tutti e tre in prima fila con una magia del cerimoniale e infinite benedizioni per la loro smagliante forma fisica che ha permesso di infilare una sedia in più del consentito, anzi due visto che anche il sindaco Beppe Sala si affaccia dalla balconata e tutti o quasi sono vestiti Giorgio Armani: in Armani con scollo all’americana Meloni, in Armani drappeggiato la figlia di Mattarella, Laura, in Armani Chiara Bazoli, ma anche buona parte delle signore: quest’anno il foyer è in nero e paillettes. La Russa, affacciato anche lui, ha ritrovato vecchi amici di giunte passate.

 

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Conte è a Milano in funzione “spina nel fianco” e verrebbe voglia di raccontargli che il palco a cui dovrebbe aspirare nei suoi obiettivi – lui certamente non lo sa ma i milanesi sì – è quello del I ordine, sul lato destro della galleria di ingresso cioè collocato idealmente per la fuga, dove si riunivano i patrioti del Conciliatore, Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Piero Maroncelli, cioè le figure in cui vorrebbe in qualche modo farsi identificare agli occhi del popolo o almeno, insomma, a quell’idea lì. Nei suoi anni di premierato, un po’ perché coincisi con il lockdown pandemico, un po’ perché ad affacciarsi dal balcone sulla platea e occupato prima da Ferdinando d’Austria, poi da Franz Josef e ancora dai Savoia e dai podestà, a seconda del momento, è stato quasi esclusivamente il presidente, Conte in quel palco non è entrato mai, come in genere gli altri premier. E’ il luogo riservato alle più alte istituzioni. Vi fu un’eccezione, una double entente cordiale, nel 2011, premier Mario Monti che alla Scala è un habitué, e presidente Giorgio Napolitano. Nel 2015, anno dell’Expo, arrivò Matteo Renzi. La folla del palco reale di quest’anno è ovviamente un segnale del cambiamento e anche della volontà di farlo notare, e se qualcuno, nonostante i tentativi, non è riuscito ad accedervi, è per oggettiva mancanza di spazio. Grandi apprezzamenti per la regia e soprattutto per la figura del monaco Pimen, cronista duro e puro. L’informazione rappresentata fa sempre un’ottima figura.