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le indagini

I covi e la rete del boss Messina Denaro: Ros e Dda setacciano Campobello e Castelvetrano

Riccardo Lo Verso

Quattro case passate ai raggi X. Carte, documenti e biglietti da decifrare. Nei due paesi dove il latitante ha vissuto per mesi è tutto un andirivieni di divise. Arrestato l'autista Giovanni Luppino 

Campobello di Mazara, un paese covo. Uno, due, tre, quattro case passate ai raggi X. Come in un grande set cinematografico – ma non è un film, è tutto vero – i carabinieri del Ris setacciano gli immobili alla ricerca di tracce biologiche e impronte digitali di Matteo Messina Denaro. Stessa cosa avviene a Castelvetrano, dove il latitante è nato, in alcune abitazioni di amici e parenti del padrino. Altrove, in procura a Palermo, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia e gli uomini del Ros, cercano di decifrare carte, documenti e biglietti trovati nei rifugi. Serve un codice per aprire i segreti del fu latitante trapanese.

Da via CB 31 a via Cusmano, da via Maggiore Toselli a via San Giovanni: strade anonime di una lontana provincia siciliana divenute note al grande pubblico per la presenza dell'ultimo padrino corleonese. Nel raggio di un paio di chilometri è tutto un andirivieni di divise. Oltre ai carabinieri, che hanno arrestato il latitante e sequestrato il primo covo, nelle ultime ore si sono aggiunti i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria e i poliziotti dello Servizio centrale operativo. Questi ultimi hanno rispettivamente individuato una camera blindata e la vecchia casa abitata da Messina Denaro. Hanno avuto l'imbeccata giusta e sono intervenuti. Ora il procuratore Maurizio de Lucia e l'aggiunto Paolo Guido dirigono anche il traffico degli investigatori.

Per mesi Messina Denaro ha vissuto con le abitudini di un uomo qualunque, protetto da una rete di favoreggiatori. Fra questi ci sarebbe il suo autista, Giovanni Luppino. Il giudice per le indagini preliminari ha convalidato il suo arresto e stabilito che deve restare in carcere. Viene ritenuto accorto e pericoloso. La sua tesi difensiva bollata come inverosimile. Ha raccontato, infatti, di avere conosciuto sei mesi fa il latitante che gli era stato presentato da Andrea Bonafede, e cioè l'uomo che ha prestato l'identità a Messina Denaro, come suo cognato di nome Francesco. Poi non lo aveva più visto, fino ad lunedì mattina quando il latitante ha bussato alla porta della sua abitazione, alle 5:45 del mattino, per chiedergli un passaggio fino alla clinica La Maddalena di Palermo dove lo attendevano per un ciclo di chemioterapia. Durante il percorso i telefonini di Luppino, commerciante di olive, prima sono stati messi in modalità aereo e spenti. Un modo, secondo l'accusa, per evitare il tracciamento degli spostamenti. Al momento dell'arresto Messina Denaro lo ha abbracciato e baciato. Poi la frase definitiva: “È finita”. Tutti elementi che smentirebbero la tesi della conoscenza occasionale fra i due. L'autista conoscerebbe i segreti di Messina Denaro e i nomi degli uomini che compongono la rete dei suoi fedelissimi. Resta in carcere per favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena, e cioè gli ergastoli di cui finora Messina Denaro neppure un giorno aveva scontato.