Convenzioni internazionali
Guardia costiera e zone Sar: ecco chi doveva intervenire nel naufragio al largo della Libia
Le autorità italiane hanno aspettato, quelle libiche non sono intervenute. Ma nonostante la Convenzione di Amburgo obblighi al soccorso in un "tempo ragionevole" ci sono 30 dispersi e 17 sopravvissuti
È ancora una volta rimpallo di responsabilità. Quello che resta dell'ultimo naufragio a più di 100 miglia da Bengasi in Libia, in acque internazionali, sono 17 sopravvissuti. In 30 sono dispersi. E, come uno schema che si ripete, anche in questo caso c'è un buco che va dalle 24 alle 27 ore: dal momento dell'allarme lanciato dal gruppo di attivisti di Alarm Phone, le 2.28 della notte tra venerdì e sabato, all'alba di domenica, quando, nel trasbordo dei migranti, la barca si è ribaltata lasciandoli cadere in mare. In questo lasso temporale, le autorità competenti di Libia, Malta e Italia, pur a conoscenza dell'imbarcazione in avaria, sono rimaste in stallo, senza attivare l'operazione Sar di salvataggio (Search and rescue). Nel naufragio di domenica mattina, l'area di responsabilità Sar era libica. Così, dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso in mare (Imrcc) di Roma alla nave mercantile "Basilis L" – accorsa sul posto, ma non in grado di soccorrere a causa delle condizioni meteo – arriva l'indicazione di aspettare le motovedette libiche. Ma da Tripoli dicono che non c'è "disponibilità di assetti navali", come sottolinea la Guardia costiera italiana in un comunicato. E così Imrcc invia un messaggio di emergenza a tutte le navi in transito e attiva finalmente l'operazione Sar.
Le accuse che arrivano da Alarm Phone a seguito del naufragio sono durissime: "Le autorità italiane hanno ritardato consapevolmente i soccorsi e hanno lasciato morire le persone". Ma per comprendere la dinamica di quest'ultima strage e tentare di rispondere alle domande che restano in sospeso – perché le motovedette libiche non sono arrivate? Perché l'Italia ha aspettato risposta da Tripoli prima di attivare l'operazione Sar? E ancora, perché non ha mandato subito i suoi assetti? – bisogna fare riferimento alle leggi internazionali.
È la Convenzione di Amburgo del 1979 a dare alcune indicazioni. Se lo stato di responsabilità Sar (la Libia) non fa il suo dovere e non coordina il salvataggio dei migranti, è spiegato con chiarezza, le autorità che per prime hanno ricevuto la notizia di emergenza, nonché in grado di fornire la miglior assistenza possibile (Italia e Malta), hanno l'obbligo di intervenire.
Non solo. Il soccorso deve avvenire con l'impiego di unità Sar (e quindi di salvataggio), ma anche "con unità militari e/o civili, quali ad esempio le unità mercantili presenti in zona". Un dovere a cui le autorità italiane hanno adempiuto. Ma solo dopo che la Libia ha dichiarato di non avere assetti navali destinati a soccorrere i migranti. Dove erano finite le motovedette italiane di cui dovrebbe disporre la cosiddetta Guardia costiera libica? Roma era obbligata ad aspettare risposta da Tripoli?
Le autorità dei paesi hanno il dovere d'intervenire anche al di fuori della propria zona di competenza qualora lo stato che ha responsabilità Sar non si attivi, o non risponda entro un tempo ragionevole. Entro quante ore un lasso temporale possa dirsi ragionevole non è oggetto di regola. Ma quelle acque erano anche zona monitorata dall'operazione europea Irini e da Mediterraneo sicuro, della Marina militare italiana: nonostante ciò nessuna nave militare è stata inviata in aiuto. I risultati del parziale fallimento del trasbordo dei naufraghi sono ormai note: 17 superstiti, da poco approdati a Pozzallo, in Sicilia, e sei navi mercantili che, al largo della Libia, scandagliano le acque per trovare i 30 dispersi.