l'intervista all'esperta
Perché il decreto flussi non è la soluzione per una migrazione regolare
Numeri che riflettono quelli degli anni passati, una misura usata come una "sanatoria camuffata", contratti in nero e burocrazia lenta. Sull'ingresso regolare dei migranti in Italia serve un cambiamento strutturale. Parla la sociologa del lavoro Laura Zanfrini
Al Viminale sono arrivate più di 240 mila domande. E il click-day di ieri che apriva all'ingresso dei lavoratori stranieri attraverso il decreto flussi è andato in over-booking. Non è una novità. "È perfettamente in linea con gli anni passati", dice al Foglio la sociologa dei processi del lavoro, Laura Zanfrini. Quest'anno le modifiche al decreto hanno allargato le maglie degli ingressi fino a 82.705 persone, delle quali, però, più della metà (44 mila) avrebbero potuto avere accesso al nostro paese in quanto lavoratori stagionali.
Nonostante i numeri siano cresciuti, anche rispetto a quelli già rialzati dal governo Draghi (69.700), il boom di domande fa riferimento per lo più "a chi vive già in Italia, che in molti casi ha un lavoro in nero e vuole regolarizzarlo". Si usano, secondo Zanfrini, le entrate come una specie di "sanatoria camuffata". Anche perché le sanatorie previste in precedenza non hanno mai davvero funzionato: quella del secondo governo Conte, a fronte di centinaia di migliaia di richieste ne ha prese in carico qualche decina di migliaia. In altri casi, spiega la professoressa "chi fa richiesta non ha neanche un lavoro in nero, ma magari ha tentato di comprarne uno", nell'ottica di ottenere il permesso di soggiorno in Italia. Sono diverse infatti le indagini aperte relative ai decreti flussi degli anni scorsi su un mercato di contratti di lavoro fittizi in cui i migranti comprano la disponibilità di un falso datore di lavoro che finga di volerli assumere per poter poi accedere alla regolarizzazione.
L'utilizzo trasversale - cioè come mezzo per regolarizzare chi già vive in modo irregolare nel paese - del sistema delle quote nei decreti flussi rende perciò difficile capire se e in che quantità gli ingressi dei lavoratori dall'estero possano essere regolamentati. "Vent'anni di storia ci hanno dimostrato come questo strumento sia inadeguato a governare l'immigrazione" sostiene Zanfrini. E in vent'anni gli ingressi sono stati circa 800 mila.
Se si sposta il centro dell'attenzione sulla mera questione lavorativa, allora i fattori in gioco si moltiplicano. "Siamo un paese con molta economia sommersa, con molta gente che lavora in nero; dove i centri per l'impiego non funzionano e fare il match tra domanda e offerta di lavoro è già complicato per chi vive in Italia, figuriamoci per chi deve arrivare dall'estero", spiega Zanfrini. Inoltre, "Abbiamo una burocrazia pubblica tendenzialmente inefficiente e quindi i tempi per le pratiche di ingresso diventano incoerenti con l'esigenza delle aziende". Il che è direttamente connesso al lavoro stagionale, specie agricolo, per cui la frutta e la verdura che si raccolgono in un mese non si potranno più raccogliere due mesi dopo, quando la burocrazia avrà fatto il suo corso.
La professoressa però dice anche che dei tentativi positivi sono stati fatti con questo nuovo decreto: "Hanno alzato i numeri, hanno ribadito la procedura semplificata per rendere più veloce il processo di elaborazione delle domande". Il nodo centrale però è che "si sta ancora in una programmazione transitoria. Non si tocca la legge. Ci sono, sì, dei piccoli miglioramenti, ma dentro un quadro che resta quello del passato".
Zanfrini ci tiene poi a specificare: "Dobbiamo però liberare il campo dalla convinzione per cui se si cambia la legge sull'immigrazione tutto si sistema per magia. Fintanto che avremo economia sommersa, servizi di matching inefficienti, infiltrazione di criminalità più o meno organizzata, vendita di falsi contratti di lavoro, è chiaro che nessuna legge potrà essere la soluzione". Neanche la cosiddetta Bossi-Fini del 2002 (che conteneva modifiche al testo unico sull'immigrazione) ha poi cambiato più di tanto le regole precedenti. "L'unica vera differenza è consistita nel non prevedere un permesso di soggiorno per chi è in cerca di lavoro. Il che sarebbe invece funzionale", ammette Zanfrini, "ma quasi nessun paese ce l'ha". E, comunque, può diventare una soluzione percorribile se "le associazioni dei datori di lavoro e quelle che si occupano di migrazioni si impegnano a essere garanti", in modo da rendere il patto tra stato e lavoratori esteri effettivamente operativo.