Rispondere alla tragedia
La Natura ci presenta la lista di quel che serve per salvare l'Italia
Può darsi che ci siano state negligenze nella gestione dell’emergenza, ma questo è un problema strutturale. Servono un coordinamento istituzionale e investimenti strategici in tutto il sistema di sicurezza idrica
Gli eventi che hanno colpito l’Emilia-Romagna sono tragici. Alle perdite, drammatiche nel caso delle vittime, sostenute da comunità travolte dalla forza dell’acqua, va aggiunto un impatto economico misurabile. Vari studi econometrici hanno dimostrato che eventi simili a questi impongono un costo sul capitale produttivo delle zone colpite che durerà ben oltre la pioggia. Un freno economico, insomma, di cui si farebbe volentieri a meno. Ma questi eventi potrebbero essere doppiamente tragici se finissero per alimentare polemiche sterili. Alcuni già si avventurano in affermazioni come: “Non c’è alcun cambiamento climatico, la siccità è stata sconfitta!”. È una sciocchezza, figlia di analfabetismo scientifico. Questa pioggia non elimina i rischi legati alla siccità, perché l’acqua deve esserci dove e quando serve. L’acqua a Faenza non aiuta Vercelli. L’acqua ora, se non accumulata in falde o ghiacciai accessibili, non aiuterà gli irrigatori a fine giugno.
Quello che gli eventi di questi giorni dimostrano, invece, è che ciò che da decenni si temeva sarebbe successo, si sta puntualmente verificando. Il cambiamento climatico si esprime nella statistica delle variabili meteorologiche. La statistica: vale a dire che in media ci aspettiamo periodi più lunghi di siccità e precipitazioni più erratiche e intense. In media. Il destino di quest’anno si chiarirà nelle prossime settimane, ma anche se fossimo fortunati, pur affrontando costi enormi, ci ritroveremo a giocare la stessa mano ogni anno futuro. Quindi che fare? Nell’elaborare una risposta, non ci aiuta l’abitudine moralista che vede nella colpa di qualcuno l’unica spiegazione possibile. Può darsi che ci siano state negligenze, ma questo è un problema strutturale. L’Emilia-Romagna, per esempio, è in gran parte piatta e si trova a valle di una moltitudine di torrenti appenninici. Molte delle zone di pianura che sono oggi allagate erano storicamente paludi. Il triangolo tra Bologna, Ravenna e Comacchio, per esempio, era così pieno d’acqua che nel XIII secolo Bologna era uno dei porti fluviali più attivi d’Europa, con una flotta in grado di sostenere un conflitto con Venezia. Poi vennero le opere di bonifica. Si cominciò nel medioevo, accelerando a partire dal XV secolo con gli interventi idraulici degli Estense di Ferrara e dello Stato pontificio. La legge Baccarini della fine dell’Ottocento diede un’ulteriore spinta alle bonifiche, che continuarono fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Gli impianti idrovori del sistema di consorzi di bonifica della regione, che in queste ore stanno cercando di prosciugare le zone allagate facendo defluire l’acqua, sono l’eredità di questa trasformazione secolare.
La lezione è chiara. Il fatto che, fino a poco tempo fa, molti paesaggi italiani non fossero soggetti a siccità e alluvioni frequenti come lo sono oggi non era dovuto solo alla fortuna climatica, ma a secoli di opere idrauliche e di gestione del territorio, che ne hanno profondamente modificato l’idrologia, creando ecosistemi artificiali altamente controllati. Il problema è che tutte quelle trasformazioni secolari hanno una cosa in comune: la statistica meteorologica si era mantenuta entro una banda più o meno stazionaria. Fino a oggi. Eventi, che erano talmente rari da non essere contemplati nella progettazione operativa dei sistemi idraulici (anche a causa dei costi che avrebbero imposto) sono ora sempre più frequenti. A fronte di questo servono un coordinamento istituzionale e investimenti strategici in tutto il sistema di sicurezza idrica del paese: non solo opere idrauliche, da argini a dighe che pure servono, ma anche uso dei territori, gestione della domanda, strumenti di assicurazione finanziaria, risorse per il monitoraggio e la modellistica e tanto altro. Gli ingredienti non sono un mistero. Paesi comparabili al nostro con un’idrologia complessa, dall’Australia all’Olanda, hanno investito risorse commensurate ai problemi che affrontano.
Serve una lista di priorità con i corrispondenti valori economici e costi, e un piano di implementazione che converta le competenze che il paese ha in istituzioni capaci di gestire una situazione dinamica e in grado di navigare le complessità prodotte dalla riforma delle competenze ambientali definite dal Titolo V della Costituzione. Non sarà facile. L’Italia ha impiegato oltre cinque secoli a raggiungere la sicurezza idrica alla quale ci siamo abituati. Adesso dobbiamo ricalibrarla in pochi decenni se vogliamo evitare che una successione di eventi catastrofici, sia siccità sia alluvioni, azzoppi le parti più produttive del paese. Sembra che la Natura, avendo ascoltato le discussioni surreali degli ultimi mesi su come spendere i soldi del Pnrr, abbia deciso di presentare al governo e al paese intero una lista chilometrica di interventi necessari. I soldi ci sono. La cabina di regia pure. Attendiamo il piano finanziario prioritizzato e le istituzioni di attuazione. Ne dipende la sicurezza del paese.