L'intervista
“La scarsa manutenzione ha amplificato i danni delle piogge”. Parla il geologo Farabollini
Le piogge sono state abbondanti, ma non si può parlare più di eccezionalità. "L'uso di casse di espansione può trasformare un rischio in opportunità", ci dice il presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche
"E’ vero che le precipitazioni in Emilia-Romagna e anche nelle Marche sono state abbondanti, ma non si può parlare più di eccezionalità, perché queste situazioni stanno diventando quasi la normalità. E’ vero che non siamo preparati, ma questo non significa che non avremmo potuto adottare provvedimenti per ridurre i danni. La scarsa manutenzione del territorio è forse la causa principale di queste modificazioni così repentine del paesaggio e l’elemento che ha amplificato l’effetto devastante delle piogge”. Con queste parole, intervistato dal Foglio, Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche ed ex commissario alla ricostruzione del Centro Italia, commenta l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna e le Marche. “Sono precipitazioni concentrate in aree molto piccole e con un regime temporalesco quasi tropicale – spiega – Non sono normali per le nostre zone, ma visto e considerato che a settembre si è verificata una situazione simile, a gennaio un’altra, due settimane fa pure e oggi di nuovo, queste situazioni non possono più essere definite eccezionali”.
“Dovremmo ripensare a un diverso utilizzo del territorio – afferma Farabollini – a interventi di impermeabilizzazione delle superfici, a sistemi di canalizzazione, ma anche ad azioni di contenimento delle acque che scendono dai versanti e arrivano a fondovalle in maniera così impetuosa, tanto da portare a rigonfiamenti e tracimazioni”. “Dobbiamo fare in modo che l’acqua possa tranquillamente divagare”, spiega il presidente dei geologi delle Marche. “Dove non è possibile, perché ad esempio ci sono case e città, bisogna trovare altre soluzioni, che comunque consistono in un’attenta regimazione dei corsi d’acqua, ad esempio con la creazione di invasi collinari, in modo tale che l’acqua possa essere contenuta e quindi costituire anche una risorsa in un momento successivo, quando c’è siccità. Insomma, si può trasformare un rischio in una risorsa”.
A chi gli fa notare che questo genere di interventi infrastrutturali sono spesso oggetto di opposizione da parte dei movimenti ambientalisti, Farabollini risponde: “Credo che ormai ci si sia resi conto di cosa significa lasciare il corso agli eventi, senza fare nulla. Se piangiamo le vittime, cosa che non dovrebbe succedere mai, significa che qualcosa non è stato fatto nella maniera corretta. Di conseguenza, credo che ci sia una consapevolezza della necessità di realizzare alcune opere che siano finalizzate ad aumentare la sicurezza del territorio”.
Il maltempo, come detto, nelle ultime ore è tornato a colpire pesantemente anche le Marche, che solo otto mesi fa, nel settembre 2022, vissero uno dei momenti più bui, a causa dell’esondazione del fiume Misa. Le vittime furono tredici, in un giorno solo. Stavolta, nonostante le forti precipitazioni, gli argini dei fiumi hanno in gran parte tenuto, evitando tragedie. La preventiva manutenzione del fiume Misa ha fatto sì che tronchi e rifiuti non si riversassero in acqua, creando tappi all’altezza dei ponti e così causando tracimazioni. Segno che dopo l’ultima tragedia l’approccio alla prevenzione dell’emergenza è in qualche modo cambiato.
“Dobbiamo utilizzare il territorio come se costituisse un organismo vivente. Non possiamo pensare di fare tutto ciò che ci pare senza tener conto di quello che era il passato. D’altronde lo vediamo con l’acqua, che torna sempre a passare negli stessi posti, perché quello era il suo cammino. Non possiamo sempre correre dietro a rimettere in sesto delle situazioni che avremmo potuto in qualche modo comunque contenere”, aggiunge il geologo. Data l’alta densità di urbanizzazione che ormai caratterizza le aree vicine ai corsi d’acqua, quali possono essere le soluzioni per tornare a contenere il comportamento dell’acqua? “Una soluzione è la realizzazione di casse di espansione, che sono delle aree che possono essere utilizzate per lasciar divagare una parte della piena, che viene reimmessa nel fiume dopo un determinato periodo di tempo consono a evitare tracimazioni”.
Per realizzare queste opere occorre comunque il consenso della popolazione interessata. Si torna sempre lì, al problema della possibile opposizione da parte delle frange ambientaliste. “In questo caso dovrebbe essere la stessa popolazione a chiedere questi interventi. Dove c’è una forte antropizzazione del territorio e non si può ripristinare il fiume come era prima, ci si dovrebbe rendere conto della necessità di realizzare casse di espansione. Questa consapevolezza io sento che sta maturando nella popolazione”.