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Assolti: finisce così il caso dei presunti estorsori delle sorelle Napoli. La tv li aveva condannati già nel 2018

Riccardo Loverso

La vicenda delle tre donne di Mezzojuso minacciate e intimidite per costringerle a vendere i terreni finisce con un'assoluzione nei confronti degli imputati, arrestati nel 2018 con accuse poi cadute nel vuoto. "I processi si fanno nei tribunali, non nelle trasmissioni televisive", dicono gli avvocatori difensori

Vi ricordate la storia delle sorelle Napoli, le tre donne di Mezzojuso minacciate e intimidite per costringerle a cedere i terreni della loro piccola azienda agricola in provincia di Palermo? Gli imputati sono stati assolti dall'accusa di estorsione. Assolti dopo essere stati arrestati nel 2018 e già condannati, senza appello, dal tribunale della Tv. “Un intero territorio è finito sotto accusa, i processi si celebrano nelle aule dei tribunali e non nelle trasmissioni televisive”, dicono gli avvocati difensori Antonio Di Lorenzo e Filippo Liberto.

Il riferimento è al salotto di “Non è l'Arena” di Massimo Giletti che diede respiro nazionale alla storia delle sorelle Napoli, divenute simbolo della resistenza al sopruso mafioso. Perché la mafia a Mezzojuso c'era e c'è. Sempre e comunque. Recinzioni tagliate, trattori danneggiati, cani avvelenati, animali mandati al pascolo per distruggere i terreni delle tre donne, lanci di pietre: è lunga, purtroppo, la lista degli episodi denunciati. Non sono stati, però, gli imputati a commetterli, tanto che la stessa Procura di Termini Imerese ha chiesto l'assoluzione al termine della requisitoria.

Tra gli imputati spicca il nome di Simone La Barbera, figlio di don Cola, il vecchio boss del paese in provincia di Palermo e legatissimo a Bernardo Provenzano. Simone La Barbera nel 2018, oltre al caso Napoli, finì coinvolto in un blitz antimafia. Come si dice, fu la chiusura del cerchio. Un assist mediatico-giudiziario. L'uomo che dava “il tormento” alle tre donne era figlio di mafioso e anch'egli mafioso.

 

Le puntate si susseguivano, una dopo l'altra. Collegamenti video e dirette in piazza. Non c'era ancora l'oracolo Salvatore Baiardo ad incollare i telespettatori allo schermo. Andavano di moda il 41 bis, la Sicilia (che ci mette sempre del suo) delle ruberie e le declinazioni varie della trattativa Stato-mafia. L'ex sindaco del paese, Salvatore Giardina, fu protagonista di un urlato faccia a faccia con Massimo Giletti. I loro occhi si ritrovarono a pochi centimetri di distanza. Giardina tentennò nella sua difesa e in quella d'ufficio della cittadinanza che lo aveva eletto. Da lì a poco avrebbe perso la fascia tricolore. Uno dei motivi del commissariamento deciso dal Consiglio dei ministri per infiltrazioni mafiose (il titolare del Viminale, Matteo Salvini, mandò gli ispettori in Sicilia) fu l’accusa mossa a Giardina di avere partecipato ai funerali di don Cola. In diretta Tv non smentì l’episodio del 2006, ma solo perché non ne aveva un ricordo nitido. “Fui preso alla sprovvista – disse il sindaco – ed essendo una persona che partecipa a tutti i funerali non seppi rispondere adeguatamente. Poi facendo mente locale posso affermare con certezza che nel giorno della tumulazione di don Cola, non ero a Mezzojuso”. E lo dimostrò portando dei documenti da cui emergeva che il giorno del funerale si trovava da tutt'altra parte. Alla fine il Tribunale stabilì che Giardina era incandidabile non per la presenza indimostrabile alle esequie del boss, ma per una sorta di passività di fronte all’ingerenza mafiosa negli atti amministrativi. Ora pure Giardina esulta per le assoluzioni. Non per i quattro imputati – a scanso di ulteriori equivoci – ma per se stesso e per Mezzojuso. Qualcuno potrebbe aggrapparsi alla prescrizione per due capi d'imputazione derubricati da tentata estorsione a tentata violenza privata. Si sa, le sentenze del tribunale parallelo della Tv sono difficili da appellare. Pardon, da smontare.

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