L'ultimo saluto
“Desiderio di vita”. L'arcivescovo Delpini e i riti di Ambrogio contro i rancorosi
Il rituale cristiano per un uomo “contento” senza le “3 bussate” degli imperatori d’Asburgo. I gesti ambrosiani che hanno accolto il Cav. durante la celebrazione delle esequie
Il rituale delle tre bussate, necessario ai defunti imperatori del Sacro romano impero per farsi aprire la porta della Cripta dei Cappuccini, non si celebra nella chiesa di Ambrogio e Carlo. A Vienna a ogni bussata l’anima cristiana si spogliava con umiltà di nomi e titoli del potere mondano per confessarsi, all’ultima, “un povero e miserabile peccatore”. E allora la porta della Giustizia divina e dell’umana sepoltura si apriva. Il portale centrale del Duomo di Milano si era già spalancato nel Sole della piazza, non proprio di asburgica compostezza, quando è arrivata l’automobile e il feretro di Silvio Berlusconi, sotto un cofano di rose rosse e bianche, ha varcato la soglia. Come un qualsiasi defunto, come qualsiasi peccatore al quale la chiesa di Ambrogio e Carlo riserva un’accoglienza particolare, secondo la sua tradizione, che profuma già di incenso e perdono sulla soglia spalancata. La piazza piena di Sole e un po’ sgangherata, tra bandiere di Forza Italia e del Milan, tra applausi improvvisi e grida da stadio “c’è solo un presidente!”, possedeva però il segreto di una vera commozione, di lacrime furtive e sincere: il rito popolare di una religione televisivizzata che al defunto non sarebbe spiaciuta affatto. In attesa di un rito religioso, antico e per nulla formale.
Funerali di stato, lutto nazionale perfino, e bandiere da stadio e cori da convention di Forza Italia. I megaschermi. Tutto l’armamentario rituale e irrituale che aveva suscitato riprovazioni e sdegni preventivi, ripetuti ieri in diretta dai commenti odiografici dei social dei milanesi indignati del “non sta succedendo niente”, mentre i milanesi veri si fermavano sui marciapiede al passare dell’auto scura, chi salutava e chi addirittura si segnava. Al passaggio del Pubblico Peccatore, signora mia. Varcata la soglia del Duomo, mentre il coro della Cappella salmodia le litanie dei santi e il Kyrie s’alterna a Mendelssohn, diverso e più intenso è il significato di tutto. Non si bussa per entrare, santo o peccatore che tu sia stato. Del resto questo è il Duomo del popolo di Milano, costruito fede su fede, dolore su dolore e peccato su peccato; nei suoi libri mastri sono ancora annotati i nomi di chi ha donato un soldo o un giorno di lavoro, e oltre ai nobili e ai cittadini perbene è pieno di poveracci, ladruncoli, peccatori e pubbliche peccatrici. Nel rito ambrosiano tutti i defunti vengono posti sulla nuda terra, qui un semplice tappeto a coprire il marmo, con i piedi rivolti all’altare: quasi un atto di disponibilità al farsi accogliere. L’aspersione con l’acqua benedetta e l’incensazione del defunto avvengono subito, all’inizio della celebrazione, e sostituiscono l’atto penitenziale. Quasi a dire che non servono nemmeno le “bussate” penitenti per essere accolti nella casa del Signore e avviati al giudizio di Dio.
Sembrano dettagli di poco conto, e non lo sono. Ma nel caso di Silvio Berlusconi, il reprobo che anche secondo alcuni cattolici, più vendicativi che misericordiosi, era troppo “divisivo” per tanta pompa e cordoglio, quei gesti d’accoglienza assumono un significato persino amplificato. Così come hanno un significato grande le straordinarie parole, così ambrosiane, cioè, dell’omelia dell’arcivescovo Mario Delpini. Che avranno deluso i non pochi che, falliti tutti i giudizi mondani, aspettavano almeno di sentire risuonare sotto le arcate gotiche le sentenze della condanna di Dio. Classicista e umanista, Delpini sa modulare la sua prosa con sapienza retorica. Ama l’anafora, la ripetizione della parola e del concetto per far scendere il senso delle cose lieve e preciso nei cuori e nelle menti. E ieri, con dolce energia, ha scandito un ritratto umano, e per nulla “ troppo” umano: “Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena”. “Amare ed essere amato. Amare e cercare l’amore. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento”. E ancora: “Essere contento. Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita… Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti”. E poi, perché fosse più chiaro: “Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari.… Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere… Quando un uomo è un personaggio, allora è allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta”. Per poi concludere: “Che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? E’ stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento.… E’ un uomo e ora incontra Dio”. Anafore che valgono più di tre bussate, anche se qualcuno non sarà contento. Perché, ha detto il saggio Delpini, “essere contento di sé” è anche e “stupirsi che gli altri non siano contenti”.