Buchi nell'acqua
Sulla Marmolada pende una sentenza ben più triste della verità processuale
Negli ultimi cinquant’anni il ghiacciaio si è ridotto della metà. I rischi non possono che aumentare. Le Dolomiti stanno cambiando molto più rapidamente del ritmo al quale è stato costruito il settore turistico che da loro dipende. I disastri naturali e le nostre responsabilità
Il 3 luglio di un anno fa, sulla Marmolada, undici persone hanno perso la vita nella valanga che è scesa da un pezzo del ghiacciaio, sotto Punta Penia. Altri otto sono rimasti feriti. Già a gennaio la procura di Trento aveva chiesto l’archiviazione: sulla base di una perizia fatta da esperti, il fatto non era prevedibile. La settimana scorsa il giudice per le indagini preliminari ha chiuso la faccenda. Giusto così. La verità processuale è che questo crollo non poteva essere previsto in maniera deterministica, da nessuno.
Che si raggiungesse questo risultato non era poi così scontato. Il nostro sistema giudiziario, lo ricorderete, era riuscito a condannare in primo grado alcuni sismologi per il terremoto dell’Aquila del 2009, in buona sostanza per non aver saputo prevedere il sisma (furono poi assolti nei successivi gradi di giudizio). La cosa non fece fare grande figura al paese presso la comunità internazionale, dimostrando che il nostro sistema legale non brilla per alfabetizzazione scientifica quando confonde il singolo caso con la statistica.
Ma se dal punto di vista legale la vicenda si chiude qui, senza colpevoli, la questione è tutt’altro che chiusa. Perché la verità processuale non è l’unica che serve per capire cosa stia succedendo sulla Marmolada e quali siano le responsabilità politiche. Ci sono tante verità da considerare. C’è la verità storica, per esempio, quella che la scrittrice Hilary Mantel diceva non essere il passato, ma il metodo per organizzare la nostra ignoranza dello stesso, la traccia rimasta nelle tracce.
Quella storia ci dice che quei turisti della Regina delle Dolomiti speravano di godere di un monumento, patrimonio dell’Unesco, conteso per oltre un secolo. La storia comincia quando l’Austria cedette il Veneto all’Italia nel 1866, alla fine della terza guerra d’indipendenza. A quel punto, il confine tra le diocesi di Trento e Bressanone divenne internazionale, ma si mantenne sulla linea amministrativa asburgica, che attraversava il ghiacciaio tra Punta Penia e il Passo Fedaia. Canazei, in Austria, da un lato. Rocca Pietore, in Veneto, dall’altro.
Nel 1911 una commissione internazionale spostò il confine sulla cresta, assegnando l’intero ghiacciaio a Canazei, ma il parlamento italiano non ratificò in pieno lo spostamento a causa della Grande guerra. Dopo il 1918, il Trentino passò all’Italia e, con esso, Canazei e la Marmolada. Ma il confine rimase sul ghiacciaio, separando le province di Trento e Belluno. La questione era principalmente difensiva e, a guerra finita, scaldava poco gli animi. Poi, però, esplose il turismo delle Dolomiti. Nel 1946 la prima seggiovia sulla Marmolada. Nel 1956, le Olimpiadi a Cortina. Negli anni Settanta le zone sciistiche di Cortina, Val di Fassa, e altre si organizzavano per offrire centinaia di impianti di risalita e chilometri di piste. Il turismo invernale era diventato di massa e le Dolomiti ne erano il centro mondiale.
E’ in quel momento, nel 1973, che Canazei rivendica la decisione della commissione internazionale del 1911. Nel 1982, il Consiglio di Stato e il Presidente Pertini danno ragione al comune, spostando i confini sulla cresta della montagna, e lasciando al versante veneto solo l’approdo in cima alla funivia. La disputa, mai veramente assopita (l’ultimo episodio è di quest’anno, quando il Tar Lazio ha nuovamente dato ragione al Trentino), non è solo cartografica. In media, i comuni italiani incassano 500 euro per abitante in tasse su immobili, rifiuti e da addizionali Irpef. Ma un comune turistico incassa molto, molto di più. Cortina, in Veneto, incassa poco sotto i tremila euro. Il comune di Pinzolo, dove c’è Madonna di Campiglio in Trentino incassa oltre tremila euro per abitante. Se torniamo alla Marmolada, il confine conteso si vede anche così: Rocca Pietore, sul versante Veneto, incassa poco meno di 1,000 euro per abitante, mentre Canazei, nel cui comune c’è il ghiacciaio, incassa tra il 1,600 e i 1,700 euro. La differenza la fanno seconde case e tasse sugli alberghi. Se a questo si aggiunge l’indotto turistico, si comincia a capire il punto della contesa moderna: le discussioni su cosa fare della Marmolada vanno al cuore del futuro di due regioni.
E qui entra in gioco una terza verità, quella scientifica. Quella derivata dalla fisica, per chiarirsi, che fa sì che gli aerei volino in cielo e che i cellulari che portiamo in tasca ci diano accesso al mondo. Quella verità scientifica, sulla situazione della Marmolada, è nota. Fino all’inizio del Novecento, l’accumulo di neve invernale garantiva un bilancio positivo al ghiacciaio, in espansione da almeno tre secoli. Era così grande che, durante la Prima guerra mondiale, l’austriaco Leo Handl aveva addirittura creato la “Città di Ghiaccio”, scavando 12 chilometri di gallerie, saloni e mense.
Ma quei tempi sono passati. Nell’ultimo secolo, il ghiacciaio si è ridotto di due terzi. Negli ultimi cinquant’anni, si è ridotto della metà. Tra il 2004 e il 2014 ha perso un terzo della massa. Dal 2006 è scomparso lo sci estivo. Le temperature medie stanno aumentando. Il ghiacciaio sta morendo. E’ un fatto empirico. Di questo passo, a meno di sorprese, sarà sparito entro il 2050. Mancano ventisette anni alla fine: circa la metà di quello che veneti e trentini moderni hanno passato a litigarselo.
La verità processuale è che non si poteva sapere come si sarebbe comportato il ghiacciaio quel 3 luglio, quando gli undici sfortunati hanno perso la vita. Ma la verità scientifica è che questi rischi non possono che aumentare. A essa aggiungiamo la verità storica, che ci mostra come le Dolomiti stiano cambiando molto più rapidamente del ritmo al quale è stato costruito il settore turistico che da loro dipende. La verità processuale assolve eventuali colpevoli del fatto specifico, ma non assolve i cittadini e le autorità dalla responsabilità di capire ciò che quei fatti dimostrano.
E’ evidente – infatti, è quasi banale dirlo – che il cambiamento climatico sta trasformando questo territorio. Senza una visione di come l’intera zona possa costruire una economia produttiva che sostenga le comunità locali tutto l’anno, senza un modello di sviluppo che si possa sostenere nel tempo e che quindi, per definizione, non dipenda dal ghiacciaio, i prossimi ventisette anni rischiano di essere una triste storia di incidenti e contrazione economica. Continuerà a non esserci responsabilità penale. Ma quella politica sarà di tutti.