Inferno estivo
Il caldo d'estate e i soliti strilli ideologici
La chiacchiera sulle alte temperature che ci fa la vita amara e più calda ancora, ce la potremmo risparmiare. A Roma non impediscono alla città di vivere e a Wimbledon si stava bene anche in giacchetta sportiva
La chiacchiera sul caldo ha un effetto moltiplicatore smisurato. A Roma c’è afa e siamo sui 40 e oltre, il che non impedisce alla città di vivere come si può, con qualche accorgimento e legioni di visitatori e graffitari impegnati con il Colosseo, ma a Wimbledon ieri si stava benone, in giacchetta sportiva, mica male anche Amburgo, fresco delizioso in Engadina. Rilevare il carattere non apocalittico del caldo, per quanto fastidioso e in alcuni casi o latitudini pericoloso, diventa un’attività antisociale, un censurabile bastiancontrarismo, prossimamente un reato penale di concorso esterno in negazionismo climatico. Ricominciamo con Cerbero, Caronte, l’Inferno del New York Times (ieri a New York 29 gradi). Qui non si volle approfittare, per quanto riguarda l’Italia, di un maggio freddo, di un giugno fresco e di una prima settimana di luglio abbastanza gradevole. Siamo negazionisti responsabili. Speravamo nel fair play, in ritorno.
L’estate scorsa dalla fine del mese mariano si era cominciato a combattere il riscaldamento locale e si è finito a settembre. La chiacchiera ci ha estenuati senza pietà. Avremmo potuto vendicarci, in questi mesi recenti, non l’abbiamo fatto. Ora che il caldo afoso è tornato alla grande, come accade di regola in questo periodo della stagione estiva, si ricomincia con i numeri, le misurazioni di record belluini, le previsioni parascientifiche, le calotte polari in via di scioglimento; e si dimentica che la siccità doveva essere annuale, pluriennale, invece è durata il giusto, poi è piovuto, poi è nevicato, e il giro ripartirà. C’è una notizia per gli affermazionisti irresponsabili: a metà agosto si romperanno i tempi, l’aria comincerà a rinfrescarsi, le giornate poi si accorceranno, le notti non saranno più, come si dice ora, tropicali finché l’autunno si porterà via la chiacchiera del caldo e a novembre comincerà il brusio dell’assetto idrogeologico da salvaguardare.
E’ da pensare che il clima e il meteo, compresa la fila per i tassì e l’immondizia sotto il solleone, compresa l’acrimonia verso il turismo di massa di cui più o meno facciamo tutti parte anche senza dispendio di ombrellini e piedi nella fontana, sono strilli ideologici elevati contro i domani che cantano, idee correnti, idee ricevute, luoghi comuni su cui si arenano le vecchie passioni ideologiche. Che vita sarebbe senza potersi dividere in schiere contrapposte, senza mettere in gioco il futuro, di cui tutti parlano perché nessuno ne sa alcunché. Quando si vuole lodare una posizione ecclesiastica, il profilo di un prelato di successo, si tira in ballo il suo carattere profetico. S’intenderebbe l’interpretazione, spesso con toni necessariamente punitivi, uggiosi, intimidatori, della volontà divina. Ma il profetismo laico è avvertirti con precisione micronumerica, medie e proiezioni al millimetro, di quanto sta per succedere, e farlo escludendo la contraddizione, il dubbio e soprattutto ciò che si vede, che si tocca, una certa regolarità dei fenomeni, una loro naturale, ripetitiva, monotona autonomia dalla mano umana, dal sistema economico e sociale e ambientale.
Il mondo poi va ripulito, disinquinato, emendato di qualche sua follia contaminante con strumenti tecnologici e di mercato, sennò decresce e sono guai seri; sulle leve della transizione energetica, anche per ragioni ecopolitiche, nessuno ha seri dubbi, ma la chiacchiera sul caldo che fa umanitario e di sinistra, che legittima in anticipo la rivolta dei posteri contro di noi, e ci fa la vita amara, colpevole, ansiogena, e più calda ancora, ce la potremmo risparmiare. Sobrietà, signor Caronte.