L'editoriale dell'elefantino
Kevin Spacey, eroe dei nostri tempi, è pronto per il Re Lear
Sequestrato dal fanatismo #MeToo, travolto dall’ondata neopuritana, ora l’attore più bravo del mondo è stato assolto
Mentre il presidente La Russa si fa una stupida e poco convincente autocritica, e Putin riabilita Lavrentij Berija, dodici giurati londinesi assolvono Kevin Spacey, sequestrato dal fanatismo #MeToo per molti anni (dal 2017). Vada per le buone notizie care a quel furbacchione di Urbano Cairo. Spacey è l’attore più bravo del mondo, il suo Riccardo III resterà negli archivi per sempre, a parte i due Oscar che chissenefrega, e gli piacciono i maschi, i masculi direbbe un La Russa in forma. Sarà anche un sentimentale, per quanto ne possiamo sapere, di certo incarna lo strepitoso diritto moderno a una sessualità completamente libera e disinibita. Non risulta sposato con i fiori d’arancio, non rompe e non rompeva con i suoi diritti, piuttosto ci provava spesso. Con successo, I presume. Perché è Spacey, esercitare le sue pulsioni implicava ovviamente uno squilibrio di potere. Non faceva violenza né fisica né morale alle donne, alle fimmine per dirla con un La Russa in forma, chiedeva prestazioni sessuali ai ragazzi, che in teoria e in pratica possono difendersi con agio da un uomo in avanti con gli anni. Faceva come san Pier Paolo Pasolini e molti altri poeti, attori, macellai, strozzini, negozianti, parrucchieri, carpentieri, pittori, registi, musicisti, stilisti, scrittori, lavoratori in vari campi del braccio e della mente.
Quando farà Re Lear, il re britanno tradito dalle due figlie cattive e dalla sua vanità, che muore dal dolore per la buona Cordelia impiccata dal suo servo, Spacey dirà “io sono un uomo che ha sofferto più peccati di quanti non ne abbia commessi”. Lo dirà a buon diritto nella tempesta della lotta tra bene e male, fra i tuoni i fulmini e gli scrosci che “annegano i galli sui tetti”. Solo così, recuperata inutilmente ma fortunatamente la sua reputazione davanti alla giustizia umana, potrà tirarsi fuori dal mefitico mondo della calunnia, dell’invidia, del ripensamento e del risarcimento che, dietro la maschera del sesso divinizzato, fuck is beautiful, nasconde la grinta oscena del moralismo piccolo piccolo, e fa di maschi e femmine gli oggetti insinceri di un desiderio disinibito e disincarnato. La macchina desiderante degli anni Settanta ha prodotto cinquant’anni dopo la commedia degli errori e degli equivoci, distrutto persone, tramortito corpi e anime, devastato la natura e la cultura con i colpi ben assestati dello squilibrio di ruolo, della battaglia di potere sotto le lenzuola. E’ degli eunuchi il Regno dei cieli, ma non così, non questo diceva il vangelo cristiano della castità. Da quando i tribunali hanno cominciato a impicciarsi della sfera urogenitale, da quando la pulsione freudiana è diventata violenza contro i diritti della persona, abbiamo incasellato il sesso in uno speciale archivio psichiatrico dal quale ci vorrà la fatica di generazioni per uscire. Una Grandeur tutta italiana è nell’irrisione, nello scorno, nella miscredenza verso l’ondata neopuritana che qui fece prove generali con le cene eleganti, e in anticipo come sempre sul resto del mondo si dové accontentare di processi, cacce alle streghe e alle furbizie levantine, e assoluzioni. Come in America, come a Londra infine anche per Kevin Spacey.