un'indagine
Progettare lo sviluppo: i Piani Mattei esistono e vanno messi in rete
Viaggio tra le tante fondazioni e ong italiane che fanno vera cooperazione “non predatoria”
“Saremo i primi a dare il buon esempio con il Piano Mattei per l’Africa”. La settimana scorsa, all’Onu, Giorgia Meloni ha insistito su una delle sue immagini progettuali preferite, un ‘piano’ sappia coniugare interessi (energetici) nazionali e sviluppo “non predatorio” dell’Africa. Nella visione della premier pesa in verità anche la preoccupazione, elettoralistica, agitata da popolazioni africane “facili prede del terrorismo e del fondamentalismo”. Più paura che sviluppo, anche se si parla di “cooperazione da pari a pari, l’Africa non ha bisogno di carità, ma di essere messa in condizioni di competere ad armi pari, di investimenti strategici che leghino i destini delle nazioni”.
Il primo annuncio del Piano Mattei data dal 2022, summit intergovernativo Italia-Africa. E ha avuto una prima declinazione con le visite in Algeria ed Etiopia. Finora si sono viste soprattutto le strategie energetiche, mentre il nuovo modello di cooperazione segna il passo. Con le immancabili accuse di essere un semplice la verniciatura di un aggressivo interesse energetico. Ma qual è la situazione reale della cooperazione italiana in Africa? Se si osserva con attenzione, ci si accorge di due cose: da un lato, l’azione organica del governo è oggettivamente debole – nonostante la prima legge in materia sia del 1979 e la riforma del 2014 contenga elementi importanti in prospettiva internazionale e di partenariati. Ma, come spiegava nel luglio scorso un’analisi di Ispi, nonostante decine di migliaia di progetti realizzati, le risorse investite sono “rimaste sempre molto inferiori all’impegno internazionale assunto dello 0,7 per cento del Reddito nazionale lordo”. L’altra faccia della medaglia è però ciò che molte ong, fondazioni e associazioni fanno concretamente, da anni, in Africa. La settimana scorsa il Foglio ha raccontato, ad esempio, il lavoro della Fondazione E4Impact, collegata all’Università Cattolica, a varie università africane e sostenuta da attori italiani e locali che fa della formazione imprenditoriale e dello sviluppo di imprese sostenibili il focus della sua azione. Ovviamente non è l’unica. Spesso si parla di aiuti all’Africa solo per interventi d’emergenza, benemeriti, e si conosce il ruolo e il contributo delle missioni religiose. Ma c’è molto di più: il Piano Mattei lo stanno già facendo organizzazioni, spesso tra pubblico e privato, che non hanno aspettato il governo.
Un sguardo anche parziale aiuta a farsi un’idea. Una piattaforma indipendente, Open Cooperazione, valuta annualmente la “top ten” delle organizzazioni di cooperazione in Africa: in base ai finanziamenti e agli investimenti, al numero di progetti, al numero di operatori e volontari e, importantissimo, alla valutazione di trasparenza. Nel 2021 Save the Children Italia risultava prima per bilancio, con ben 133 milioni di euro, seguita da Fondazione Avsi, 92 milioni, e Intersos, 82. Medici per l’Africa - Cuamm, è la prima per collaboratori, 4.735, seguita da Emergency con 3.533. Nello stesso anno erano più di 1.100 i progetti in corso. Le organizzazioni attive, per limitarsi a quelle in grado di sostenere più progetti in più paesi, sono una cinquantina con migliaia di operatori. Avsi, ad esempio, ha in corso 178 progetti solo in Africa, la maggior parte di tipo educativo – Sergio Mattarella durante il suo viaggio in Kenya in marzo ha visitato l’istituto professionale St. Kizito a Nairobi, creato da Avsi grazie ai fondi della Cooperazione italiana. Molti sono i progetti sull’agricoltura lo sviluppo imprenditoriale. Gli interventi di Save the Children nelle aree di crisi come Corno d’Africa o Sudan sono impotenti e spesso decisivi. ActionAid, associazione nata in Inghilterra, è una delle più longeve e ramificate nei suoi interventi: l’istruzione, in particolare l’istruzione avanzata per le donne, la sicurezza alimentare, l’implementazione di agricolture ecologiche. World o Amref Health Africa sono attive con progetti specifici da molti anni in più paesi.
A livello globale, nel 2021 Open Cooperazione ha certificato oltre tremila progetti. Che ogni fondazione, ong, associazione, ha imparato da tempo a finanziare attraverso il coinvolgimento del livello istituzionale – i fondi della Cooperazione, i bandi internazionali – ma anche attraverso il coinvolgimento di aziende, banche, donatori privati. Spesso in passato il sistema di finanziamento, e i rapporti con le amministrazioni dei paesi oggetto di interventi, sono stati dei vulnus. Ma valutazioni indipendenti come quelle di Open Cooperazione certificano oggi livelli di affidabilità eccellenti e anche i tentativi di superare un’oggettiva frammentazione organizzativa. I piani Mattei esistono, insomma, e per dirla con il presidente di Avsi Giampaolo Silvestri quel che occorre è un approccio ‘multistakeholder’” che coinvolga più attori e istituzioni. Va poi notato che non tutto è deserto in Africa, e non tutto del fenomeno della migrazione è minaccia o costo. Un recente studio della rivista Nigrizia racconta l’importanza delle rimesse dei migranti: in Africa valgono oltre 100 miliardi di dollari, con una media che rappresenta il 4 per cento del Pil. Se a ciò si sommano gli investimenti (non solo aiuti a perdere) anche solo dall’Italia, si vede che la classica goccia nel mare è qualcosa che potrebbe crescere.
“Occorre guardare all’Africa attraverso una prospettiva africana”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani a New York. E’ interessante notare che questo approccio non è solo fatto di parole politiche o umanitarie. Un esempio lo fornisce la Fondazione Res4Africa, un network di livello europeo, nata nel 2012 su impulso di Eni, Enel, Terna, Intesa Sanpaolo e altri attori economici e istituzionali, e che ha per mission la crescita e l’innovazione energetica in Africa. E’ un think tank che lavora per migliorare la transizione energetica, per “liberare l’accesso all’energia in questi paesi”, spiega al Foglio Carlo Cecchetti, responsabile della comunicazione: “Il nostro motto è: in Africa per l’Africa”, spiega. Il lavoro di Res4Africa aiuta a spiegare che la “cooperazione non predatoria” non è solo uno slogan politico, ma è la base indispensabile per la crescita. Il lavoro, spiegano dalla Fondazione, comprende rapporti con i governi, anche attraverso le reti consolari e le strutture della Farnesina; ed è indirizzato alla formazione manageriale e al rafforzamento della capacity building, così come al miglioramento delle capacità tecniche.
Quindi un lavoro di formazione istituzionale, e la messa in rete di progetti e finanziamenti europei. Una visione banalizzata ripete spesso che il gioco, tra i paesi sviluppati e quelli africani, sia in realtà solo un problema predatorio di approvvigionamenti. Obietta invece Cecchetti: “Bisogna invece pensare al presente e futuro di questi paesi. Ad esempio, lo sforzo e l’aiuto perché molti di loro possano passare direttamente alle fonti rinnovabili, l’accesso al solare, o all’idrogeno verde. L’arretratezza tecnologica di molti luoghi dell’Africa è ad esempio proprio l’occasione di fare subito un balzo in avanti. Noi ci occupiamo di questo. Stiamo formando manager, sostenendo startup nel settore dell’energia. Lo sviluppo, anche energetico, è un vantaggio per tutti”. Qualcosa che assomiglia a un piano Mattei esiste già, va messo a sistema.