sindrome alicudi

Treni in ritardo, taxi fantasma: spostarsi è diventata un'avventura

Michele Masneri

La sostituzione sulle Frecce di “snack dolce o salato” con la “box” è stata l’inizio della fine. Siamo ormai in balia dei mezzi. Meglio stare a casa

Non bastava il medio oriente, non Giambruno che ieri è stato fotografato dal barbiere, amputato il ciuffo, dunque cambiando taglio  di capelli come ogni ragazza ferita da sempre fa quando vuol cambiar vita (mentre Meloni taglia le pensioni). No, la vera tragedia che incombe è la “sindrome Alicudi". La sindrome Alicudi di cui soffriamo tutti, chi più chi meno consapevolmente, è quella per cui ormai nelle nostre vite di pendolari e smartworker o cityuser come dicono gli urbanisti siamo in balia degli eventi e dei mezzi di trasporto mancanti anche per i movimenti più basilari. 


Come sul moletto eoliano si chiederà “c’è mare?”, per sapere se si potrà partire, e magari arrivare, così nelle nostre città, Milano e Roma soprattutto, l’idea di andare da A a B è ormai un viaggio iniziatico e un’avventura picaresca. Le “Frecce”, che così bene avevano unito l’Italia più e forse meglio della televisione, che ci avevano abituati a una vita comoda il cui unico interrogativo era “snack dolce o salato” (ormai sostituito però da una “box”, e forse questo era il segnale dell’inizio della fine), le frecce che ci avevano regalato l’unica startup di successo italiana (Italo, passata a Msc) e l’illusione di un primato e di un orgoglio, coi treni esportati in tutto il mondo, e il plauso di utenti e giornalisti stranieri non così consueto. Ecco, tutto questo sta crollando. 


Ormai la pagina Internet più compulsata in Italia non è YouPorn ma  Rfi Monitor, il tabellone dei ritardi delle ferrovie che come un tragico tombolone fantozziano ci dice di che morte dovremo morire. Si farebbe presto a dire che col governo post o meta fascio i treni non arrivano più in orario, i ritardi sono anzi esplosi. Anche questo, complotto? Ci sarà lo zampino d’Antonio Ricci anche qui?  Ormai chi per piacere o dovere si deve muovere sulla “metropolitana d’Italia” spera nei 5, 10 (che diventano 20), minuti di ritardo, anche nei 60. Quando diventano 90 sa che forse non arriverà mai. Le punte sono di 350 (ma quante ore sono 350 minuti?). Le frecce non sfrecciano più, le frecce sono intasate, per i motivi più vari, che non vengono risolti ma invece sono prontamente comunicati agli incolpevoli passeggeri in una gaddiana esplosione linguistica di patois ferroviario. Mentre i ritardi esplodono, la parola ritardo,  abolita. Rimozione.

 

Ecco dunque che dagli altoparlanti arrivano frasi incomprensibili come: “il treno può subire una variazione di orario” (e lì già il passeggero fa gli scongiuri) per una serie di motivazioni astruse. “Per transito di personale non autorizzato sui binari”; ma chi sono questi – come direbbe Giambruno – transumanti? Ma non ci sono delle recinzioni e delle telecamere? “Per preparazione del convoglio” (ma non lo potevano preparare prima il convoglio? Non è che è un treno a sorpresa, fa lo stesso tragitto tutti i giorni). “Per ritardo convoglio di altra compagnia” (ma qui la parola ritardo viene ricicciata) fino alla notevole e berhnardiana  “per traffico ferroviario perturbato”. Se si sopravvive al perturbamento, come se fosse fenomeno naturale, magari conseguenza del cambiamento climatico, una volta arrivati in stazione di ci si imbatterà nella micidiale ricerca del taxi. Si sa che mettersi in coda non serve a niente, si ascolterà il millenario canto della sirena abusiva che sussurra “tagsi tagsi” con voce romanesca arrochita dalla sigaretta (l’abusivo infatti è sempre fumatore).  

 

Per spostarsi in città, tanti al taxi però hanno rinunciato. Un tempo c’erano le vetturette Car2Go, Smart che pescavi negli angoli delle vie e ti salvavano, ora la Car2Go è stata comprata da Stellantis e ti trovi enormi Peugeot che nessuno sa come parcheggiare. Così ognuno escogita soluzioni. “Ho noleggiato una macchina per due giorni”, dice l’amico sceso a Roma per la festa del Cinema. Come a Tangeri. A Milano vedi invece sfrecciare in bici anche persone notoriamente pigrissime e in su con gli anni, sfidando l’ecatombe di ciclisti. Qualcuno si avventura sui monopattini, procurandosi abrasioni e lussazioni. L’acronimo più ambito è “Ncc”. “Ho preso un Ncc”, “vuoi venire sul mio Ncc”, è diventata un’arma di seduzione pazzesca. Altrove vedi Punto e Cinquecento stipate guidate da badanti con gruppi di anziani che magari vanno al cinema. Ma rivoltando la frittata, e volendo vedere il lato positivo, la mancanza di taxi e di treni può rendere eccitante qualunque avventura urbana e interurbana. Sai quando esci ma non sai cosa ti succederà, se arriverai mai a destinazione (un brivido!). E poi è un’ottima scusa  anche per sottrarsi alla miriade di eventi e inviti inutili. “Scusa sai ma non ho trovato il taxi”, “scusa sai ma sono bloccato sul Freccia”, sono toccasana utilizzabili per fare quello a cui tutti realmente ambirebbero: stare finalmente e definitivamente a casa.
 

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).