Le alluvioni in Toscana ci ricordano quanto è dannoso governare l'acqua con molta ecoansia e poca competenza
È più facile dare la colpa a qualcuno che non affrontare la nostra inadeguatezza collettiva. Ma il problema qui è letteralmente “a monte”, nella gestione integrata del territorio. Le risorse e le competenze dell’Italia sono più che sufficienti per gestire la situazione, ma ci sono tre azioni che deve compiere il governo
Scrivere di acqua in Italia significa rivivere lo stesso giorno, ogni giorno. Solo nell’ultimo anno, Senigallia, Ischia, la Romagna, Piacenza, Milano. Questa volta è toccato alla Toscana. Vittime e danni a Seano, Quarrata, Campi Bisenzio. Comunità disastrate che si rimboccano le maniche per ripulire. Come sempre. Non sarà l’ultima volta che l’acqua si impadronisce di casa nostra. Inevitabilmente ci saranno le solite polemiche su corsi non puliti e colpe individuali: il moralismo impera in un paese che vive di confessioni pubbliche, litigi esibiti, e processi sommari. E’ più facile dare la colpa a qualcuno che non affrontare la nostra inadeguatezza collettiva. Ma il problema qui è letteralmente “a monte”, nella gestione integrata del territorio.
Non c’è dubbio che le precipitazioni siano state eccezionali. Far defluire duecento millimetri di pioggia in poche ore non è uno scherzo. E poi ci si mette un paesaggio che, dal Granducato in poi, è stato trasformato pesantemente. Per dire, la Toscana ha centinaia di migliaia di ettari di foreste a ceppaia perché durante la rivoluzione industriale, in assenza di depositi di carbone, ci si avvaleva di carbonella. Questa pratica forestale, nata come politica energetica oltre due secoli fa, è uno dei tanti motivi storici per i quali l’idrologia degli Appennini non è di facile gestione. Che si stia manifestando un progressivo spostamento della statistica meteoclimatica è pure indubbio. Coloro che dicono che è sempre successo, rivelano di non comprendere il problema. La questione non è qualitativa, ma quantitativa. Certo che ha sempre piovuto, ci mancherebbe. Certo che il clima è sempre cambiato su scale di tempo anche secolari. Ma se fatta con grande attenzione, l’analisi strettamente quantitativa della statistica meteorologica ci dice che è sempre più difficile spiegare ciò che osserviamo solo sulla base di ciò che sappiamo del clima passato del pianeta, senza contemplare gli effetti su di esso delle nostre emissioni. Quelli che sostengono il contrario dovrebbero essere in grado di produrre una spiegazione diversa e quantitativa della statistica osservata. A oggi nessuno lo ha fatto.
Detto questo, il dibattito sull’attribuzione è poco utile. Tutti i paesi del mondo, anche quelli più ricchi, affrontano rischi che a volte si materializzano. Avere risorse, competenze, e controllo del territorio significa raggiungere un punto di equilibrio nel quale i rischi più frequenti sono eliminati, mentre le emergenze sono affrontate da istituzioni e processi come quelli della Protezione civile. La gestione di quel punto di equilibrio è il cuore di qualsiasi strategia nazionale moderna. Pare evidente che in Italia quel punto di equilibrio si sia spostato, in parte per il cambiamento della statistica climatica, ma anche per la trasformazione del territorio, per lo stato delle infrastrutture, e per la confusione istituzionale che lascia autorità locali, regionali, e nazionali alla mercé della polverizzazione delle responsabilità prodotta dalla riforma del Titolo V.
E quindi che si fa?
La buona notizia è che le risorse e le competenze dell’Italia sono più che sufficienti per gestire la situazione. La ricetta non è un mistero. Il governo farebbe bene a contemplare tre azioni.
Riattivare l’unità di missione sui rischi idrogeologici per produrre una lista aggiornata dei possibili interventi e dei loro costi finanziari.
Riprendere in mano il piano di adattamento nazionale, che esiste ma non è stato reso esecutivo in assenza di una prioritizzazione e stima di costo degli investimenti.
Intraprendere una discussione programmatica su come debba essere fatto un territorio funzionale alla crescita economica e sociale del paese reale, e sulle riforme necessarie per correggere i conflitti di potestà che impediscono a qualsiasi visione politica di tradursi in gestione territoriale.
Nulla di questo eliminerà totalmente eventi come quelli visti in Toscana, ma permetterà di riportare equilibrio nella nostra relazione con l’acqua e la sua forza sul territorio.