Il caso
Intolleranza contro il Fuan e terroristi palestinesi: brutto clima all'Università di Torino
L'azione della polizia in tenuta antisommossa durante una riunione del Fuan-Azione e l'invito a un’assemblea pubblica di una nota terrorista palestinese sollevano questioni sul dibattito accademico
Gli eventi che hanno interessato l’Università di Torino nelle ultime settimane gettano una luce sinistra sulla qualità e sulle modalità di conduzione del dibattito pubblico in accademia. Il 27 ottobre scorso la polizia in tenuta antisommossa ha presidiato lo svolgimento di una riunione del Fuan-Azione universitaria in un’aula del Campus Einaudi. L’evento, regolarmente autorizzato dall’Ateneo, era dedicato alla tragica vicenda degli armeni dell’Artsakh e ha visto la partecipazione di uno studioso di cultura armena, dottore di ricerca dell’Università di Ginevra e dell’assessore alla cooperazione internazionale della regione Piemonte, Maurizio Marrone.
La presenza degli agenti, il cui intervento non sarebbe stato richiesto dal rettore o da suoi delegati, ma avallato direttamente dalla questura, era atta a evitare disordini, dal momento che altre organizzazioni studentesche dell’Ateneo rifiutano alla radice che il Fuan faccia parte con i propri rappresentanti della comunità accademica. Detta organizzazione, affiliata a Gioventù nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d’Italia, è accusata, non da ieri, di nostalgie fasciste e, per tale motivo, ne è stata richiesta e, in un primo tempo, ottenuta, la rimozione dall’Albo delle organizzazioni studentesche di Ateneo. Fatto sta che, una volta reintegrato, il Fuan ha pieno diritto di svolgere le attività culturali che l’Ateneo ritiene in buona fede di dover autorizzare.
La (legittima) contestazione che si è svolta al di fuori dei locali, ove non contenuta, era manifestamente preordinata allo scioglimento dell’evento e all’esercizio della violenza nei confronti di chi liberamente partecipava alla riunione. La carica di alleggerimento della polizia, che tanta indignazione ha sollevato, ha evitato che contestatori e partecipanti venissero alle mani, proprio come era avvenuto nei medesimi luoghi nel febbraio 2020, quando un (altrettanto legittimo) volantinaggio del Fuan si era trasformato in un pretesto per violenza e devastazioni da parte dei collettivi fin nell’auletta dedicata a Paolo Borsellino, che del Fuan fu dirigente a Palermo. Per quelle vicende la magistratura ha poi chiesto il rinvio a giudizio di circa 30 persone. In un tale contesto, per quanto la presenza della polizia nei locali universitari sia senz’altro sgradevole, la comunità accademica dovrebbe essere ferma nel respingere ogni forma di illegalità idonea a compromettere la libertà accademica di alcune componenti studentesche, oltreché la sicurezza pubblica. Ne cives ad arma veniant, non a caso, è una delle massime che rendono plasticamente evidente la funzione del diritto oggettivo e l’Università non è certo luogo dell’anomia.
I fatti degli ultimi giorni confermano, purtroppo, che il dibattito pubblico in accademia è destinato a svilupparsi non secondo le coordinate della ragionevolezza, ma secondo quelle della prevaricazione. Il 16 novembre i medesimi collettivi universitari hanno occupato alcuni locali di Palazzo Nuovo, sede storica dell’Ateneo torinese, per chiedere agli organi dell’Università di prendere posizione (sic) sul conflitto in Medio Oriente e l’interruzione di ogni scambio accademico con Israele. A tali richieste, come documentato dal Foglio, si è aggiunto l’invito a un’assemblea pubblica di una nota terrorista palestinese. La pretesa del rettore di non concedere spazi universitari per la discussione del conflitto in corso si è, insomma, inesorabilmente infranta contro l’imposizione unilaterale del fatto compiuto da parte di talune organizzazioni studentesche. La rinuncia della comunità accademica a governare l’integrazione di tutte le componenti e di tutte le posizioni per favorire un dialogo aperto e plurale e la scelta deliberata di parte di essa di soffiare sul fuoco del conflitto non fa che polarizzare ancor più gli animi e impedire un’emancipazione da quello che Guido Vitiello chiama “clima liceale dell’assemblea di istituto permanente”.
Giovanni Boggero è ricercatore del dipartimento di giurisprudenza dell'Università degli studi di Torino