il caso a milano
Restauri: ora allo sponsor si concede il logo in facciata
Tod’s finanzia il restauro delle facciate di Palazzo Marino. Con molte differenze strategiche e politiche rispetto all’intervento sul Colosseo di molti anni fa
Nel momento in cui il gruppo Tod’s ha annunciato, con conferenza stampa last minute, il finanziamento di 2,5 milioni per il restauro delle facciate di palazzo Marino, sedici mesi di lavoro previsto, logo sui teloni ampiamente contemplato, il primo pensiero che sia venuto a chiunque sia dotato di un filo di memoria è stato quanto siano cambiati i tempi rispetto al primo, grande progetto di sostegno di Diego della Valle per la salvaguardia delle opere pubbliche nazionali, e per la precisione dell’Anfiteatro Flavio. Il Colosseo, secondo denominazione medievale. Accadeva quasi quindici anni fa, l’investimento era pari a 25 milioni in due tranches, l’Italia non era ancora scesa a patti con l’opportunità, per non dire l’esigenza, di offrire un corrispettivo adeguato in termini di immagine ai privati che le permettono di mantenere il primo patrimonio artistico mondiale all’altezza della sua fama e dei pur troppo numerosi turisti che vengono ad ammirarlo.
Sarebbe impossibile, comunque noioso, elencare tutte le polemiche, le invettive, i contenziosi che piovvero sul capo dell’imprenditore marchigiano che aveva risposto a una gara andata inizialmente deserta per tutelare il monumento simbolo di Roma. Basti dire che fu un inferno e che nel 2016 intervenne perfino la Corte dei Conti, chiedendo un quadro normativo sulle sponsorizzazioni culturali adeguato “sotto il profilo della valutazione economica”. Suddividendo la bella cifra per gli anni di intervento previsti, aveva valutato che 1,25 milioni di euro all’anno per i diritti di utilizzo dell’immagine del Colosseo fossero pochi. Che mai Tod’s avesse affisso un cartello o anche una bandierina sulla facciata del monumento, cioè che non avesse mai messo in pratica tutta questa pubblicità gratuita e sfacciata per quattro denari, non doveva esserle sembrato rilevante. Come sempre, si crearono due opposte fazioni: da una parte quelli che il Colosseo si sgretolasse pure se per metterlo in sicurezza si doveva concedere un vantaggio a uno della moda; dall’altra un gruppo di sofisticati giuristi per i quali i giudici non avrebbero avuto il diritto di valutare l’operato delle amministrazioni pubbliche in una situazione immobiliare e culturale collettivizzato e palesemente fuori mercato (qualcuno è mai stato in grado di valutare il Colosseo?).
Per tutto lo scorso decennio, vi furono polemiche su ogni cosa: alla sola idea che apparisse il logo del gruppo Otb sul Ponte di Rialto, i veneziani pur umiliati da una messe di bancarelle e negozi di souvenir di infima qualità inscenarono proteste e raccolte di firme. Per la chiusura della Fontana di Trevi per una sola serata da parte di Fendi che l’aveva restaurata furono cascate di insulti. La situazione iniziò a normalizzarsi con il restauro della Rupe Tarpea da parte di Gucci e con i molti interventi di Bulgari a Roma: gli sponsor hanno imparato a declinare la comunicazione con garbo, le amministrazioni pubbliche a sfruttare i vantaggi offerti dalla contiguità con aziende che hanno mezzi, potere mediatico, strategie interessanti.
A Palazzo Marino, per esempio, potrebbe essere divertente lavorare sulle vicende di chi volle quelle facciate e quegli ingressi, dal banchiere genovese Tommaso Marino, finanziatore dell’impero spagnolo e della Santa Sede, amante appassionato anche in tarda età (“sulla terra ho trascorso novantasette anni, alcuni dei quali illuminati da un grande appassionato amore per Arabella Cornaro, veneziana. Per amore rapita in Canal Grande e ricoperta di gioielli in Milano.”), rovinato dai costi di costruzione di quella residenza manierista progettata da Galeazzo Alessi, che dall’unità d’Italia ospita il Comune. La nipote di Marino, Marianna (Virginia) de Leyva y de la Cueva-Cabrera, passata alla storia come “la monaca di Monza”, occupava un appartamento al pianterreno e primo piano a cui accedeva dall’ingresso di piazza san Fedele. Anche le finestre da cui si affacciava bambina saranno oggetto di restauro da parte dell’agenzia Jesurum-Leoni Comunicazione di Us-The Future is now, sponsor tecnico che si occuperà della conservazione e valorizzazione, e che realizzerà gli interventi grazie all’acquisto dei diritti di immagine da parte di Tod’s.
Sulle quattro offerte pervenute, quella di US-The Future is now è risultata la più aderente agli obiettivi dell’avviso pubblico, ottenendo il maggior punteggio secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il restauro riguarda tutte le facciate del palazzo per una superficie di 5.345 metri quadri, e quelle interne sul Cortile d’Onore, con gli elementi originali risalenti al XVI secolo del portico e del loggiato, per 2.224 metri quadri.