Il commento
Dare un senso a Cervinia
La notizia del cambio di nome aveva destato scalpore e indignazione tra le file di FdI. Non se ne farà nulla. Ma il frugale mondo di Le Breuil non esiste più. Restano i cannoni da neve, gli hotel lussosi, i locali notturni di un luogo pensato solo per il turismo invernale
Si è alzata una forte eco dalle montagne della Valtournenche, la notizia del cambio di nome da Cervinia a Le Breuil è giunta dalle valli valdostane fino ai palazzi romani, destando scalpore e indignazione tra le file di Fratelli d’Italia. Questa richiesta nasce dal desiderio di ripristinare l’antico toponimo francofono di Le Breuil, cambiato nel 1934 in favore del roboante, futuribile (suona un po’ come Brasilia) e fascista Cervinia. Possono dormire sonni tranquilli Vittorio Feltri e Daniela Santanchè, poiché dopo la valanga di polemiche non ci sarà più nessun cambio di nome. Eppure la proposta non era del tutto capziosa, dal momento che nelle aree italiane bilingue sarebbe giusto favorire i nomi autoctoni, quelli più antichi legati alla storia locale, e modificare un toponimo non equivale a cancellare la storia, ma può significare al contrario il risarcimento per un’azione imposta dal regime fascista, come accaduto anche nel Südtirol o nel Friuli con le traduzioni negli anni in cui si osteggiavano tutte le lingue non italiane (si ricordi l’altoatesino Fragsburg che divenne un improbabile Castel Verruca).
Il ripristino dell’antico nome, compiuto all’indomani della caduta del fascismo, avrebbe avuto certamente un senso, così come avremmo compreso la rimozione di simboli come l’obelisco del Foro italico se fosse avvenuta nel 1945. A oggi però, entrambe le operazioni sembrano non solo faziose, ma addirittura posticce. Storicizzati entrambi, devono essere contestualizzati e hanno il compito di raccontare una pagina della nostra storia.La questione più importante è però un’altra, taciuta da tutti in questa bufera di polemiche vacue. Il piccolo paese montano di Le Breuil, con le case in pietra, gli alpeggi in quota e le madri che addormentano i bambini nella stalla come in un quadro di Segantini, non esiste più. Oggi esiste solo Cervinia, un brand, come ricorda la Santanchè, cioè un luogo pensato solo per il turismo invernale, per il divertimento sciistico, per lo sfruttamento della montagna. Palazzoni di dieci piani da periferia urbana, cemento su cemento, parcheggi, discoteche, locali notturni e hotel lussuosi, una specie di Dubai dell’arco alpino, con i chiassosi aperitivi sulle piste (“i monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi”, scriveva Goethe).
Il Cervino è forse la montagna più bella al mondo, una sciarada alpinistica (lo sapeva bene Bonatti), la Montagna per antonomasia, quella alta con la punta bianca disegnata dai bambini, e si sarebbe dovuto evitare di trasformare i paesi alle sue pendici in squallidi comprensori turistici. Breuil, nella locale lingua patois, significa terra di molte acque. Acque che si teme saranno esaurite per sparare la neve, quando questa non sarà più sufficiente per il divertimento degli sciatori a causa del cambiamento climatico. E quando anche l’acqua non basterà più, il turismo degli sci sparirà e a quel punto, forse, i cervi torneranno ad abitare questa zona e il toponimo fascista acquisterà finalmente un senso.