La mappa
Ecco i 51 luoghi individuati in Italia per ospitare le scorie nucleari
Il ministero dell'Ambiente ha pubblicato la lista delle zone idonee per la costruzione del deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Ora anche chi non è incluso potrà candidarsi. L'obiettivo è superare lo stallo e chiudere un dossier aperto trentasei anni fa
Il ministero dell'Ambiente ha pubblicato la lista definitiva dei luoghi dove potranno essere depositati i rifiuti nucleari (Cnai), nell'ambito della creazione di un deposito nazionale per lo smaltimento delle scorie radioattive prodotte dalle nostre vecchie centrali. Sono 51 le aree individuate, sedici in meno rispetto alla lista pubblicata a fine 2020 che aveva identificato solo le zone potenzialmente indonee per lo stoccaggio. Una scrematura frutto di una ricerca sui territori in esame durata tre anni e che ha preso in considerazione i criteri geologici, naturalistici e antropici delle zone analizzate.
L'elenco divulgato oggi individua in maniera definitiva i luoghi nei quali sarà possibile, successivamente e con tutti i tempi tecnici del caso, mettere in sicurezza i rifiuti nucleari. La Carta – spiega una nota del ministro Pichetto Fratin – "è stata elaborata dalla Sogin (la società proprietà dello stato che si occupa di smaltimento dei rifiuti nucleari, ndr), sulla base delle osservazioni emerse in seguito alla consultazione pubblica e del Seminario nazionale condotti dopo la pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (Cnapi)", pubblicata tre anni fa dopo un lavoro di cinque anni. Le 51 aree si dividono tra sei regioni. Otto sono in Basilicata, due in Puglia. In Piemonte ne sono state individuate cinque, otto in Sardegna e due in Sicilia. Il maggior numero di aree si trova nel Lazio: sono infatti 21 quelle idonee a ospitare i rifiuti nucleari, tutte nella provincia di Viterbo.
Il fatto che il ministero abbia pubblicato la lista dei territori idonei allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi non significa però che automaticamente le scorie saranno trasportare in quelle zone. Serve infatti che l'area individuata accetti – attraverso la regione – di farsi carico dei rifiuti. Già tre anni fa, con la pubblicazione della lista delle potenziali aree, alcune regioni, prima di tutte la Basilicata, avevano detto "no" a prestarsi come luogo di deposito per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Con ogni probabilità le contrarietà a ospitare siti per la riqualificazione saranno confermate.
Per superare lo stallo il governo ha deciso di intervenire con una norma nel decreto Energia approvato il 29 novembre scorso. È stata infatti introdotta la possibilità di auto candidarsi per ospitare il deposito nazionale anche a quei territori che non sono stati inseriti nella lista. È il caso – ad esempio – del comune di Trino, in provincia di Vercelli, in Piemonte. Al Foglio è lo stesso sindaco del paese che qualche settimana ha raccontato di essere "disponibile a ospitare il deposito delle scorie nucleari".
La novità introdotta dal decreto Energia permette ai territori esclusi dalla Cnai di candidarsi come aree adibite allo smaltimento dei rifiuti radioattivi, previ accertamenti e studi scientifici che ne appurino l'idoneità e l'impatto che avrebbero le scorie per l'ecosistema e l'ambiente. "Gli enti territoriali le cui aree non sono presenti nella proposta di Cnai – spiega la nota del ministero – nonché il ministero della Difesa per le strutture militari interessate, possono entro trenta giorni dalla pubblicazione della Carta, presentare la propria auto candidatura a ospitare il Deposito nazionale e il Parco tecnologico e chiedere al Mase e alla Sogin di avviare una rivalutazione del territorio stesso, al fine di verificarne l’eventuale idoneità".
Le nuove procedure dovrebbero anche garantire una riduzione dei tempi necessari, dopo i continui rimpalli burocratici che si susseguono dal 2015. A primo avviso potrebbe non trattarsi di un problema prioritario, quello dello smaltimento di questi rifiuti. Tuttavia, nel nostro paese ci sono ancora 78 mila metri cubi di scorie derivanti dalle vecchie centrali nucleari, somma alla quale si aggiungono i rifiuti radioattivi ospedalieri prodotti ogni giorno.
L'urgenza di costruire un deposito nazionale, oltre che prioritario per la salute dell'ambiente, si lega anche a un tema economico: i ritardi nella creazione di siti di stoccaggio si riflette sulle nostre tasche. Sì, perché parte dei rifiuti italiani ancora oggi è inviato in Francia e Regno Unito, con costi che ricadono sulle tasche di tutti attraverso le bollette dell'energia. Il problema è lì dal referendum del 1987 e dopo trentasei anni l'Italia non è ancora stato in grado di risolverlo. Avanti con le candidature, quindi.