il caso
Il rogo della Venere degli Stracci non valeva di certo quattro anni di galera
Lo ha detto anche il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi: la pena inflitta a Simone Isaia è eccessiva e inappropriata. Il senzatetto condannato e il valore delle opere d'arte
"Gli antichi, infinitamente più ricchi di noi di boschi, amministravano agli incendiari anche la pena capitale", ricordava Guido Ceronetti. Appena lo scorso anno è entrato in vigore il ddl Franceschini-Orlando che ha inasprito le pene per chi danneggia il patrimonio culturale, introducendo nuove fattispecie di reato contro lo stesso. Se di recente però i giovani attivisti di Ultima Generazione sono stati assolti per il loro attaccamento – fisico, non spirituale – alla Venere di Botticelli, non è andata altrettanto bene a Simone Isaia, il senzatetto napoletano di 32 anni che se l’è presa con un’altra Venere, quella degli stracci di Michelangelo Pistoletto.
All’alba del 12 luglio scorso, appena due settimane dopo l’inaugurazione, la colossale installazione in piazza Municipio a Napoli ha preso fuoco, bruciando come un falò di sant’Antonio e lasciando solamente lo scheletro dell’opera. Qualcuno ha gridato allo scandalo, all’iconoclastia, addirittura al femminicidio (avrebbe detto la moglie di Pistoletto), mentre altri vi hanno visto una sorta di performance, una provocazione, una critica. L’atto vandalico piromane è chiaramente esecrabile e da condannare, ma la sentenza a quattro anni di reclusione al termine di un processo con rito abbreviato suona alquanto eccessiva e inappropriata, come sostenuto anche dal sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi. Non solo perché l’imputato sembra avere dei disagi psichici per i quali potrebbe aver agito non in piena coscienza, motivo per cui il carcere andrebbe assolutamente evitato, ma anche perché il danno compiuto non è paragonabile alla pena ricevuta.
Quando nel 1972 László Tóth gridando di essere il Cristo risorto prese a martellate la Pietà di un altro Michelangelo, il Buonarroti, sfregiando il volto di Maria (che fu poi ricomposto con uno dei restauri più meticolosi e commoventi di sempre, raccogliendo persino la polvere del marmo), fu internato in un manicomio italiano per due anni e poi rimpatriato in Australia, e il danno era certamente più grave. Pistoletto è stato ed è un importante artista del secondo Novecento, questo è fuor di dubbio, ma la sua Venere degli Stracci, ormai reiterata da decenni sempre uguale (e replicabile a infinitum, tanto che alla fine se ne metterà una nuova il prossimo gennaio a Napoli), divenuta asfittica e priva di afflato, non è di certo un’opera d’arte di inestimabile valore, importante per il nostro patrimonio, ma appare piuttosto come un antico apparato effimero delle grandi feste barocche romane, effimero per l’appunto, destinato a durare poco. È stata d’altronde una scelta poco lungimirante, per non dire scellerata, quella di posizionare all’aperto un’opera di quel tipo, con materiale fortemente infiammabile come i vestiti senza alcun tipo di protezione o vigilanza, nella città porosa dove di consueto i rifiuti prendono fuoco.
La Venere degli Stracci è il simbolo del rifiuto e dello scarto riscattati dall’arte e dalla bellezza, ed è beffardo che a darle fuoco sia stato proprio un senzatetto, volgarmente chiamato “straccione” (come è beffarda la mitologia, se pensiamo che secondo Omero Venere fu moglie infedele del dio del fuoco Efesto). Ora quel giovane scarto della società, quel ragazzo che vive in strada con disturbi mentali è stato condannato a quattro anni di carcere (a Poggioreale!). Una curiosa forma di contrappasso. Nel frattempo un’altra Venere, purtroppo ignifuga in quanto virtuale, se ne va a spasso per l’Italia, mostrandosi come la Venus Vulgaris vestita alla moda e assomigliando a una cartolina kitsch di pessimo gusto; cosa resta quindi dell’altra Venere, la nuda Venus Coelestis, quella appartenente alla sfera immateriale e spirituale? Stracci.