1941-2024
Ugo Intini, il tipo tosto che non si riconosceva nelle ordalie di popolo
La testa di turco di ogni polemica quando non era consigliabile prendersela direttamente con Craxi
Ugo Intini (1941-2024) era gentile, sorridente, acuminato nello scrivere polemico, si considerava al servizio del socialismo autonomista, dunque di Bettino Craxi, disciplinato e zelante ma senza essere mai un servo. Non ne aveva bisogno, non ne aveva voglia, gli piaceva la politica, coltivava la partigianeria, con una punta di genuina faziosità unita a una leggendaria timidezza e a un riconoscimento di valori verso l’avversario più accanito, un tratto anche elegante, salve le svirgolature che a tutti toccarono negli anni beati e duri della repubblica dei partiti. Si muoveva felpato, sorrideva con misura, non intendeva per alcun motivo mostrarsi simpatico, la sua stessa dolcezza dei modi era la maschera di verità che nascondeva le sue intenzioni e la sua postura tutta spine e spilli, se necessario colpiva come un sasso nella piccionaia dei detrattori e dei distruttori di ciò che amava, cioè il socialismo italiano, l’autonomismo, Bettino, il giornale Avanti!, con tanto di punto esclamativo ottocentesco. Da giornalista, da parlamentare, da uomo di governo con Amato e con Prodi, da militante irreprensibile, estraneo al doloroso circuito dei soldi neri ai partiti, ma non per suo merito né per sua colpa, solo perché agli ideologhi e ai ragionatori certi servizi non erano richiesti, e la voglia di arricchirsi non era il loro morbo.
Il morbo di Ugo Intini era l’anticomunismo schietto di chi era sempre stato minoranza a sinistra, con Nenni contro Togliatti, con il centrosinistra contro l’opposizione egemonistica del Pci, con Craxi contro Scalfari e De Mita, le sue vere bestie nere, quelli che non pagavano lo scotto del comunismo ma, come diceva Lucio Colletti, portavano sempre la vacca della democrazia alla monta del toro. Intini per questo era considerato insopportabile, era la testa di turco di tutte le polemiche quando non era consigliabile prendersela direttamente con Bettino negli anni favolosi Ottanta. Ma era una testa di turco molto resistente, impermeabile all’idea di reputazione che è tipica di quella particolare canaglia che è la brava gente (come diceva Émile Zola). Capiva Berlusconi ma non poteva fisicamente e intellettualmente accettare una guida non socialista di quel particolare liberalismo pop che non sapeva affascinarlo. Ugo Intini era un uomo d’ordine, conosceva la politica internazionale, detestava coloro che unendo spirito borghese e fiaccolate populiste e fax avevano massacrato una classe dirigente di prim’ordine brandendo le tangenti di tutti contro alcuni sì e altri no, non scavalcava i problemi nemmeno quando faceva della propaganda, dei milanesi purissimi condivideva la serietà, forse il sense of humour non era la sua qualità ma non beveva.
Ha scritto molto e bene e utile, dopo la caduta, e ha fatto del reducismo e della memoria un emblema di nobiltà personale, conquistandosi il rispetto dei molti che lo avevano conosciuto e non hanno mai dubitato di lui e della sua lineare fedeltà alla strada che si era scelto da giovanissimo, senza troppo rivendicare ma praticando una sua coerenza di fondo. Aveva diretto con guanto di velluto e pugno di ferro la comunicazione e l’informazione politica del Psi ormai malfamato, con molte nomine e pochi mezzi, con tanti pasticci ma senza remore moraleggianti, sempre indirizzando le polemiche e le scelte verso l’avversario principe, il giro della “nota lobby”, come la chiamava Francesco Cossiga. È passato senza mai fare un plissé di minoranza in minoranza, anche quando condivideva il massimo potere politico e parlamentare, e non si è mai riconosciuto nelle maggioranze facili, nelle ordalie di popolo, era un tipo tosto e severo, la sua cifra umana era semplice cortesia e impeccabile dirittura politica anche negli errori.