tolleranza zero
Cellulari che piovono alla Scala e altre cafonate. I manganelli servono qui
Prima dell’opera di Mozart da un palco un telefonino precipita sulla testa uno spettatore seduto in platea. Basta subire la cafonaggine di chi a teatro non spegne i telefoni, scatta fotografie, risponde durante lo spettacolo. Poi ci sono quelli che scartocciano caramelle e chiacchierano
Prima o poi, doveva succedere. E infatti, con la tipica ineluttabilità del fato in una tragedia greca, anzi turca visto che si dava “Il ratto dal serraglio”, è successo. Domenica sera, prima dell’opera di Mozart alla Scala, seratona archeolirica trattandosi della produzione di Strehler risalente al 1969 per la gioia di prefiche e vedovi in estasi, secondo atto. Da un palco di destra, e pure piuttosto alto, terzo o quarto ordine, precipita in platea un telefonino, non si sa bene se spento o acceso (nel caso, un’aggravante del reato), che colpisce sulla guancia uno spettatore seduto in prima fila. Costui è risultato contuso ma non ferito, e soprattutto molto irritato: si è sentito infatti alto e forte il suo “Ti denuncio!”. Il proiettile avrebbe potuto cadere in buca, e sarebbe stato più grave perché avrebbe compromesso l’esecuzione. In ogni caso: attenzione, piovono cellulari.
Fin qui la cronaca. L’aspetto interessante è stata la reazione del tizio (la vittima, intendo, non l’imbecille del telefono). Quando nell’intervallo una maschera è andata a recuperare l’oggetto per una volta non trillante ma contundente, il quidam si è rifiutato di consegnarlo, dicendo che l’avrebbe dato solo al proprietario in modo da identificarlo e, appunto, querelarlo (ma due sberle, no?). Anche se non si sa come sia poi andata a finire, chapeau al denunciatore. Ora basta. Come Falstaff, ne abbiamo piene le bisacce di subire la cafonaggine di gente che a teatro, nonostante i divieti, non spegne i telefoni, li lascia penzolare dai palchi, scatta fotografie, messaggia, addirittura risponde durante lo spettacolo come la vegliarda che da un palco dell’Opera di Roma, alla prima dell’ultimo “Giulio Cesare” di Händel, annunciava urbi et orbi: “Me sto a annoia’. Se vedemo fra dieci minuti alla”, e qui seguiva il nome della trattoria per la fettuccina ristoratrice dopo tanta tragedia dell’ascolto, come l’avrebbe chiamata Nono. E poi ci sono quelli che parlano, tossiscono forte e a lungo (“Idomeneo” al Carlo Felice, durante tutta la prima aria di Idamante, ma proprio tutta, ed è lunga assai), scartocciano caramelle, frugano nelle borsette, fanno tintinnare gioielli, puzzano della naftalina sul vestito esumato per l’occasione, e talvolta di morto.
Da adesso, tolleranza zero. Si passa alle vie di fatto come ha fatto l’eroe di un recente “Otello” al Municipale di Piacenza. Stufo delle ciance della solita vecchia, no, scusate, non è pol. corr., della diversamente giovane, prima l’ha redarguita e poi, esasperato, le ha elargito un buffetto (per inciso, io sono stato linciato dal giornale locale perché avevo espresso tutta la mia ammirazione per il Vendicatore, dunque attenzione perché in questo paese ormai l’ironia è vietata e il paradosso colpevole: ci sarà sempre qualche diversamente intelligente con il ditino alzato a farvi la morale).
Nel giugno ’22, sempre alla Scala, all’ennesimo squillo di cellulare Riccardo Chailly aveva interrotto il concerto invitando il cretino a rispondere. Bravissimo. Anzi, già che ci siamo, mi autodenuncio. Il tizio o la tizia che, al “Don Giovanni” del Ristori di Verona il 25 gennaio u.s., in balconata ha cincischiato un blister rumorosissimo durante l’intera “Dalla sua pace” sappia che sono stato io a urlargli/le “stronzo!” dalla platea sottostante. Ma la protesta non basta più, urge la repressione. Nell’improbabile caso debba dimettersi, per il questore di Pisa c’è già un altro posto pronto: capo delle maschere della Scala. E appena il primo cafone estrae il cellulare, zac!, noi glielo polverizziamo con una manganellata (e se si centrano anche le dita, pazienza. Anzi, meglio).