I cortocircuiti ideologici dell'8 marzo
Nella mano sinistra, un ombrellino vezzoso, a proteggersi dalla pioggia. Nella mano destra, il cartello con quella scritta: “L’eterocispatriarcato è haram”. Storia di Fatou
Era la sera dell’otto marzo, e sulla città pioveva forte, quando si è deciso di lasciar perdere ogni tentativo di capire il mondo. Il giornale locale ci aveva mandato a seguire le manifestazioni per la Giornata della Donna. Sono abbastanza prevedibili, questi eventi locali. Anche questa volta, tutto stava andando come previsto. Le ragazze di Non Una Di Meno, con gli zigomi pitturati di fucsia. Le signore dell’A.n.p.i. I performer, che inscenano una danza sciamanica in onore della Madre Terra. Le rivendicazioni. I comizi. Gli insulti alla Lega e a Giorgia Meloni. Le canzoni di Big Mama, sparate a palla dalla casse. Gli scalmanati che inneggiano all’Intifada, ma quelli ormai si trovano un po’ dappertutto. Tutto nella norma, insomma. Al massimo un po’ di brio nell’ordinaria vita che si vive qui in provincia.
È stato solo quando il corteo di donne si è messo in marcia, che l’abbiamo vista. Se ne stava lì, tranquilla. Nella mano sinistra, un ombrellino vezzoso, a proteggersi dalla pioggia. Nella mano destra, il cartello con quella scritta: “L’eterocispatriarcato è haram”.
Si rimane interdetti.
Haram. Cioè, empio. Impuro. Non conforme alla Sharia. Contrario alle leggi di Allah. Come il maiale. Come lo spritz. Come Boko Haram, che letteralmente significa “l’istruzione occidentale è peccato”.
Poi, l’altra parola: eterocispatriarcato. E qui, onestamente, sorge qualche dubbio interpretativo in più. Cosa vuol dire? Non si capisce. È spiacevole sentirsi superati. Ed è pazzesco rendersi conto di avere più familiarità con l’arabo classico che con l’americano moderno.
Si riflette.
Ragazza islamica. Velata. In piazza contro il patriarcato occidentale. Un cortocircuito ideologico mica da poco. Per qualche lungo e doloroso secondo, non si sa più cosa pensare.
Forse ha ragione Houellebecq, e davvero il nostro mondo è in crisi, se ci ritroviamo i figli degli immigrati in piazza a gridare queste cose. Forse Houellebecq ha torto marcio, e l’Occidente è veramente invincibile, se sono bastati pochi anni di integrazione e benessere a contaminare una ragazza in hijab con questa paccottiglia ideologica da due soldi. Forse questa giovane è il simbolo di un momento storico. Forse il 7 Ottobre è stato davvero uno spartiacque per la nostra convivenza civile. Forse è la prova che l’estrema sinistra woke è ormai indistinguibile dall’integralismo religioso.
Si è quasi portati a cedere allo sconforto: “Basta. Non ci capisco più niente. Mi ritiro a vita privata…”.
Poi, per fortuna, viene ad assisterci il dio dei cronisti. Una divinità pagana cui si è devotissimi, re del mondo misterioso che sta tra l’adrenalina e l’intuizione – e, soprattutto, assai più permissivo del Grande Allah. Ci si avvicina. Come ti chiami? “Fatou”. Cosa significa haram? “Proibito”. Senti Fatou, sono un giornalista, posso farti una foto? “Certo!”.
Ed è in quel momento che si comprende una cosa importante. Chi l’ha detto che dobbiamo essere capaci di capirlo, il mondo? Talvolta basta saper cogliere l’increspatura delle onde e saper rispondere alla domanda: “Cosa è successo, tu che eri lì?”. Poi, presto o tardi, saranno gli storici e i filosofi a unire i puntini. Talvolta, è sufficiente tirare fuori il telefono. Toccare l’icona in alto a destra. Poi il bottone in mezzo allo schermo. Clic. Ecco fatto.
“Grazie, Fatou. Buon otto marzo anche a te!”.