Il caso
Lo spericolato gioco altoatesino con cui ora si trasformano in regolari le mucche irregolari
L'allevamento virtuale: così alcuni allevatori dell’Alto Adige riuscirebbero a superare i vincoli che impongono un limite di bestie per ettaro e a percepire sussidi pubblici impropriamente
La mucca per ipotesi. Gli ettari in essenza platonica. Seconda stalla a destra, questo è il cammino per la stalla che non c’è: l’allevamento virtuale parrebbe il modo con cui alcuni allevatori dell’Alto Adige (ma forse anche di altre parti d‘Italia e d’Europa) riuscirebbero a superare i noiosi vincoli della realtà e della legge e riuscirebbero così a percepire sussidi pubblici e fatturati privati. Dicono a Bolzano: ma qui tutti sapevano.
Un po’ come i falsi invalidi del Mezzogiorno. In questo caso, la Provincia di Bolzano attribuisce gli aiuti del Piano di sviluppo rurale cioè la Pac solamente agli allevatori che hanno 2,5 capi di bestiame per ettaro di terreno lasciato a foraggera. Il limite di 2,5 animali per ettaro è imposto agli allevatori anche dalle latterie sui cui cartoni del latte e sui vasetti di jogurt spesso è scritto con orgoglio provinciale Nur Südtiroler Milch. E chi ha più vacche di quelle ammesse per ettaro? Nessun problema. Come per la patente dei falsi ciechi, si passa a una stalla inesistente o a un prestanome la titolarità del bestiame in eccesso, a volte senza nemmeno spostare dalla stalla gli animali. Così sono assicurati i sussidi pubblici e le vendite alle latterie, in misura ogni anno di circa 7mila chili di latte per vacca. L’agricoltura biologica fra le sue regole generali prevede che, per poter dichiarare bio i prodotti dell’allevamento bovino, ogni unità di bestiame adulto (Uba) può produrre ogni anno per ogni ettaro di terreno non più di 170 chili di azoto, che è il carico inquinante contenuto nel liquame e nello stallatico. Trasformato dagli Uba e dalla chimica all’uso campestre, significa circa 2,5 vacche al massimo per ettaro. Questo indice è stato adottato dall’Alto Adige e dalle sue latterie.
Il limite di bestie per ettaro serve a evitare che chi possiede terreni ma non bestiame possa ricevere sussidi impropri e serve anche a escludere dai sussidi l’agricoltura troppo intensiva. Il tasso di bestiame deve essere soddisfatto per tutte le sovvenzioni per superficie, come le indennità compensative e i premi agroambientali. Il terreno lasciato a foraggio può essere di proprietà dell’allevatore, in affitto, in prestito o in altra forma di titolarità. La Provincia autonoma ha articolato questa indicazione in maniera complessa, per esempio legandola all’altitudine: fino a 1.250 metri di quota non più di 2,5 capi per ettaro, fino ai 1.500 non più di 2,2 vacche per ettaro e via arrampicandosi. Ogni allevatore deve compilare una scheda Lafis in cui confluiscono due gruppi di dati: il registro di stalla, con gli animali, e gli ettari di terreno dichiarati all’amministrazione forestale.
Una spiegazione ha provato a darla Salto, un notiziario bilingue dell’Alto Adige coordinato da Ulrich Gutweniger e dal redattore capo Fabio Gobbato, dove la giornalista Astrid Tötsch ha scovato una testimonianza. A un allevatore ingenuo cui era nato un vitello un veterinario aveva chiesto: a quale stalla dobbiamo registrare il vitellino? La stalla è questa, con stupore e sconcerto aveva risposto al veterinario l’allevatore ligio alle leggi. È stata fatta una controprova, e all’ufficio forestale è stato comunicato oralmente un prestito di terreno cui attribuire il bestiame della stalla immaginaria, prestito approvato con timbri e registrazioni. Facilissimo. Sono ritenuti possibili perfino a 20 capi su mezzo ettaro, ma sempre ufficialmente dalla scheda risultano le regolarissime 2,5 vacche virtuali per ettaro immaginario utili per vendere vagonate di prodotto alle latterie e per raccogliere il frutto dei sussidi. “Ma dove non c’è un giudice, non c’è un querelante e dove non c’è un ispettore, non c’è una punizione”, scrive Tötsch sul Salto. Intanto gli allevatori di Bolzano aspettano che da Roma Agea, l’Agenzia per le erogazioni per l’agricoltura, renda finalmente trasparenti i dati altoatesini sul latte importato a cisterne intere dal Tirolo, dalla Germania, dal Belgio, dalla Slovenia.