Il caso Polanski: a processo nel 2025 per lo stupro di 60 anni fa
Il regista convocato in tribunale l'anno prossimo, a due settimane dal compimento dei 92 anni. Eppure quella che si serve fredda è la vendetta, non la giustizia
Appuntamento in tribunale, il 4 agosto del 2025. Abbiamo scritto giusto, e altrettanto giusto è il calcolo: all’imputato Roman Polanski, nato a Parigi il 18 agosto del 1933, mancheranno due settimane al compimento dei 92. Tre anni fa, in giro per Cracovia assieme all’amico Ryszard Horowitz – i genitori di Polanski erano tornati in patria, per sfuggire all’antisemitismo francese – era scattante come un ragazzino. In jeans e giubbotto di pelle ricordava ogni cosa: il primo film visto al cinema, la scuola, casa sua dove gli avevano raccontato che una certa lampadina era un rilevatore di bugie, la sinagoga dove non vuole entrare perché gli fa paura (come le chiese), gli obbligatori inni a Stalin, i francobolli comprati al di là del filo spinato.
Vostro onore, abbiamo raccontato queste cose per mettere a fuoco il personaggio (del processo per lo stupro di 50 anni fa e della fuga dagli Usa dovrebbe sapere, del periodo trascorso ai domiciliari nello chalet a Gstaad, con la cavigliera che gli impediva di allontanarsi, dovrebbe essere già al corrente). Ora Polanski viene accusato di uno stupro che risale a 60 anni fa. Grazie a una legge californiana che non fa andare in prescrizione i reati commessi su minori. Ci chiediamo soltanto cosa abbia spinto all’audace mossa Jane Doe – il nome fittizio che fa John Doe al maschile (speriamo che i fautori della non binarietà non se ne accorgano): nei tribunali di diritto anglosassone copre l’identità di chi non vuole rendere noto il proprio nome, oppure non può farlo, per amnesia o perché ritrovato cadavere.
Il nome di fantasia serve a proteggere i minori, anche se dopo 60 anni la minore non è più tale (siamo digiuni di giurisprudenza, ma non di logica: il minore va protetto finché non diventa maggiorenne. Dopo 60 anni, sarebbe una curiosità scientifica).
Jane Doe dice di aver riflettuto a lungo, prima di denunciare (la prima volta nel 2017). Dopo 60 anni, anche i lutti peggiori si dimenticano. Se si ingigantiscono, è patologia. Comunque, è uno schema di pensiero, un grumo di emozioni e di vittimismo, che non può occupare la vita “come se fosse ieri”. E condurre alla richiesta non solo di condanna del colpevole, ma di risarcimenti per “le cose non fatte”.
Ognuno è fatto a modo suo, ha i suoi giri di pensiero, e i suoi modi di rimuginare. Detto senza offesa: Alberto Sordi ripeteva “a me mi ha rovinato la guera, se non c’era la guera…”. Ognuno di noi, nel profondo del cuore, ricorda un trepidissimo torto subìto. Prima di portare in tribunale un novantenne che ne ha passate tante – Olocausto, moglie assassinata dalla banda di Charles Manson, processo per stupro, fuga in Europa, sbarco a Zurigo per un festival di cinema, e ad aspettarlo sulla pista c’erano i poliziotti (il Festival cinematografico di Zurigo non è mai stato così celebre) – un pensiero non rancoroso si poteva pure fare.
Voglio ottenere giustizia, ha dichiarato Jane Doe assistita dall’avvocato Gloria Allred, già rappresentante delle vittime nel caso Jeffrey Epstein e Bill Cosby. Anche un risarcimento per i danni “non economici” passati, presenti e futuri, a cominciare dai mancati guadagni. Quella che si serve fredda, è la vendetta non la giustizia. Perfino dopo i più grandi dolori, il lutto finisce e la vita riprende: solo lo stupro fa eccezione? L’avvocato Alexander Rufus-Isaacs riferisce all’Associated Press che Roman Polanski nega ogni addebito, e crede che il posto giusto per discuterne sia la Corte di giustizia – togliendo così di mezzo la possibilità di accordo tra le parti.
Ci sarebbe anche un altro dettaglio: la legge a cui si fa riferimento è entrata in vigore soltanto nel 1990. Lo stupratore ha continuato a lavorare, la vittima – dice Jane Doe – no. Per tutti questi 60 anni. La convinzione, e pure la fissazione, non sono peccato, ma ci dovrebbe comunque essere un certo legame con la realtà. L’avvocatessa Allred parla di enorme coraggio, nel denunciare un regista famoso e già condannato. E’ un po’ più complicato di così, basta vedere il documentario “Wanted and Desired” di Marina Zenovich.