L'editoriale dell'elefantino
E bravo Fiorello che perdona. Ma niente falsi perbenismi: i buoni sentimenti vanno già in onda
Il fuori onda va decisamente riabilitato perché manda in onda quel che non doveva andarci, quel che buona educazione e ipocrisia avevano escluso dalla piazza pubblica
Bravo Fiorello, che ha perdonato e si è perfino scandalizzato dello scandalo. Il fuori onda va decisamente riabilitato: per riabilitarlo, va compreso, definito per quello che è. Il fuori onda è, come dicono gli anglosassoni del matrimonio, a shocking invasion of privacy. In due si guadagna un mondo di bene e si realizza il meglio della vita, ma si perde il buon isolamento, quella indisciplinata e naturale tendenza a coltivare l’amor proprio come quando dove si desidera. Se poi quel “due”, con il fuori onda, diventa la comunità degli spettatori, il circolo estesissimo dei guardoni e degli origliatori, il guaio è ancora più grosso, letale. Si manda in onda quel che non doveva andarci, quel che buona educazione e ipocrisia avevano escluso dalla piazza pubblica, si viola l’intima libertà di sparare sciocchezze dell’animo, di stare con sé stessi e con il proprio pregiudizio, di comunicare il non comunicabile, sentimenti purissimi come l’invidia, l’astio, il risentimento, o anche solo l’indecente, la leggerezza, la pirlaggine che sono in tutti noi, tutte cose che sono parte costitutiva dello spirito, del carattere ambiguo delle relazioni umane.
Il giornalista Giacovazzo era rammaricato, oscenamente rabbuiato e invidiosetto perché dall’alto del suo sicuro successo di pubblico e di critica la star Fiorello celebrava, celebrando sua figlia, quella che a lui è parsa la nascita di una dinastia: “Ora le daranno 12 trasmissioni televisive”. Parlava dal suo angolo, dal suo punto di vista personale, fuori onda, chissà in quel giudizio quale grado di legittima o incomprensibile frustrazione, non è questo il punto, si era insinuato.
E Fiorello, uomo di mondo che conosce le regole della comunicazione, che sa come vanno le cose in Rai, che ha chiaro il prezzo del successo e del potere che ne consegue, quel potere che esclude altri, che sequestra per sé un bene che tutti vorrebbero condividere, ha trovato in fondo anche normale, spiacevole ma normale, che quell’osservazione maligna fosse stata espressa nella privatezza di una chiacchiera inutile e spontanea, nell’angolo appunto, e ha aggiunto che se si conoscessero i suoi fuori onda le multe, le sanzioni, le censure si moltiplicherebbero a dismisura.
Perché ciascuno ha il suo angolo di insoddisfazione e ciascuno, anche chi ha successo in quantità, gode sopra tutto dell’insuccesso degli altri o ama insinuare che dietro il glamour, magari futuro, dinastico, ci sia una spintarella, la trama di un centro di influenza, qualcosa che non ha a che fare con il talento. Gore Vidal, che come tutta la migliore società pettegola di un certo mondo americano era un fuori onda continuo con le sue battute e le sue rogne grattate in pubblico e in privato, diceva che non gli importava quanto avrebbe venduto il suo prossimo libro, l’importante era che il prossimo libro di Capote o di Mailer non trovasse acquirenti e cadesse nell’ombra dell’insuccesso. Il fuori onda dovrebbe essere fuori legge. Si può essere spietati anche in onda, a patto di sapere come si fa. Invece ormai in onda ci vanno solo i buoni sentimenti, le papere benigne della morale comune, le idee già bell’e fatte e cotte nell’umido, gli sgomitamenti maligni che si vedono e non si vedono. Non resta che il fuori onda, ma riservato, trascurato, perdonato, non sputtanato dal falso perbenismo.