sisma di colpe
Anticipare la salvaguardia, non il processo al disastro. Il caso dei Campi Flegrei
La vera sfida è garantire la sicurezza senza colpevolizzare l'urbanizzazione. Evitare il riflesso condizionato di attribuirsi colpe in sovrappiù. La storia di quei luoghi non è una storia di sfruttamento turistico e termale ma quella di una antica finestra della civilizzazione
Difficile e forse impossibile dire che cosa davvero e seriamente si dovrebbe fare per mettere gli abitanti di Pozzuoli e dei Campi Flegrei, dei Campi Ardenti, in condizione di sentirsi e di essere, effettivamente, al sicuro. Sono necessarie competenze tecniche e capacità politiche inimmaginabili, visto che il fenomeno del bradisismo è conosciuto e studiato da secoli, con sempre maggiore intelligenza e maggiori mezzi con il passare del tempo, da esperti di valore; né mancano indicazioni e piani previsionali di evacuazione per gli scenari peggiori, salvo considerare, come ha fatto il geologo Mario Tozzi, che quando mezzo milione di persone abitano un territorio congestionato più che di evacuazione sarebbe proprio parlare di un esodo forzato e ovviamente in condizioni di estrema emergenza. Quello che bisognerebbe vietarsi è la costruzione anticipata e generica della “colpa”, la eterna ricerca delle colpe sociali, economiche, politiche, istituzionali che starebbero dietro, in modo diretto e consequenziale, perfino ai più oscuri e catastrofici scatenamenti della natura.
Stupisce francamente che si dica di quell’area che lì non si sarebbe dovuto costruire, che qui non si dovrebbe mai abitare, che la responsabilità fin d’ora di quel che di tragico potrebbe succedere va addebitata all’industriosità, all’espansione urbana, a fenomeni incontrollati di ricerca del profitto e di sfruttamento di quella straordinaria risorsa naturale che è incontestabilmente, come testimoniano storia e arte e semplice osservazione, una delle aree marine e terrestri più belle del mondo. Il riflesso automatico della colpevolizzazione è particolarmente pigro quando si parla di una antica finestra della civilizzazione, migliaia d’anni sui Campi Ardenti, dal porto di Agrippa e Augusto fino alle ferrovie e agli alberghi, spesi per fare quel che gli uomini e le donne sanno fare: calpestare il loro suolo, farlo sempre più proprio e utile, sfruttarlo nel senso più alto e nobile del termine. Nella zona del bradisismo c’è il lago d’Averno, che è immagine del luogo poetico dell’inferno, dell’Ade (Omero, Virgilio, Dante); c’è il Lucrino, altro invaso usato nella Roma imperiale da imprenditori ittici dediti appunto al lucro, al profitto, c’è una costellazione devota di templi e una teoria ricreativa e privata di residenze.
Dai tempi dei tempi Pozzuoli e vicinanze sono, poi con l’intera Napoli conurbata, lo scenario speciale della presenza fervorosa e vigile di un’umanità civile, con il bradisismo attivo e minaccioso anche quando appariva la bocca infernale di una minaccia naturalistica e letteraria.
Vero che l’Averno a un certo punto cadde in proprietà di una società in odore di camorra, finché non ce ne liberammo. Vero che il consumo del suolo e la densificazione degli abitati sono un pericolo, ma la storia dei Campi Flegrei non è un Airbnb, non è lo sfruttamento turistico e termale dei luoghi, che è solo conseguenza della bellezza e dell’inquieta fastosità di una terra che poggia sull’anomalia idrotermale della solfatara, e di altre note bocche di fuoco causa di apprensione e allarme. Il riflesso condizionato di attribuirsi colpe in sovrappiù, anche quando è evidente da decine e decine di secoli, basti pensare a Pompei e Ercolano, che la civilizzazione può finire in cenere per volontà della terra, ecco un modo per castigare ideologicamente la vita di un’area che va invece preservata con cura, con equilibrio e con preveggenza, anticipando le misure di salvaguardia utili ma senza anticipare il processo al disastro che è una delle specialità in cui eccelle la nostra cultura eco-orientata al risparmio e alla desertificazione verde come principio di precauzione.