Claudio Graziano (foto Ansa) 

un ricordo

Il metodo, la storia, gradi e una vita con poca retorica. Chi era Claudio Graziano

Giuseppe De Filippi

Ascoltato e rispettato in Europa e nella Nato. Capo di stato maggiore della Difesa dal febbraio 2015 al novembre 2018 e poi presidente del comitato militare dell’Ue, infine alla guida di Fincantieri

Capire il mondo, ascoltare le persone, cercare anche di vivere nel modo migliore possibile. Era il programma, il metodo, lo stile, di Claudio Graziano. Apparentemente, per un grande comandante militare, parole e progetti poco marziali, ma, uniti a competenza e totale serietà nei comportamenti, diventavano uno strumento invincibile di successo nel suo ambiente e la chiave per portare l’esperienza delle forze armate anche in altri ambiti e per dare respiro alla sua visione da generale.

Da piemontese apparteneva a una storia militare fatta di intelligenza, di capacità di scelta e di relazioni. Appassionato degli alpini fin da ragazzo ha voluto essere uno di loro. Prima l’accademia a Modena e poi l’avvio della carriera e subito studi di perfezionamento diretti alla strategia e alle relazioni diplomatiche, e a metà degli anni Novanta, come avviene ai migliori tra gli ufficiali, a quelli destinati a incarichi di peso, fa un importante periodo di specializzazione al War college dell’esercito americano. Il suo programma di vita, appunto.

Di missioni ne ha guidate tante. In Mozambico nel 1993 con gli ultimi alpini di leva. In Afghanistan, sempre in contesti gestiti da accordi internazionali, ha guidato la brigata multinazionale Kabul. In Libano, scelto dall’Onu (in una stagione di maggiore imparzialità onusiana), gli è stata affidata la missione Unifil. In tutte queste occasioni ha fatto esperienze valorizzabili poi dai comandanti successivi, ha creato rapporti, ha tessuto conoscenze e arricchito le relazioni. Per il Libano è stato tuttora un punto di riferimento per entrambe le parti. Ascoltato e rispettato in Europa e nella Nato. Capo di stato maggiore della Difesa dal febbraio 2015 al novembre 2018 e poi presidente del comitato militare dell’Ue.

Alla notizia della sua morte, non uscivano i soliti coccodrilli, le biografie compilate un po’ pigramente e sempre pronte, ma una serie lunghissima di ricordi personali, di testimonianze di dolore e di stima (e di incredulità), di attestazioni della competenza e del valore umano. E arrivavano davvero da una rappresentanza politica ampia e in modo non formale, con un ufficio di via XX Settembre impegnato nella raccolta di un numero enorme di attestazioni, di messaggi. Altre nomine forse lo attendevano, dopo la presidenza di Fincantieri, primo incarico non militare assunto nella sua vita. C’era ancora spazio per lui e necessità della sua saggezza alla guida di importanti centri di potere e di responsabilità, mentre devono qualcosa al suo esempio e al suo insegnamento tutti i comandanti che ora ricoprono le posizioni di maggiore responsabilità nelle Forze armate italiane. E altri possibili incarichi potevano arrivare per valorizzare gli ottimi rapporti creati e mantenuti anche con i suoi colleghi europei, in una fase, come questa, di grande possibilità di sviluppo per i progetti di difesa comunitari. Ma il flusso di consulenze e consigli, di conversazioni preziose, con i massimi responsabili militari e politici non si era mai fermato. Sembra retorica, ma si vedeva cosa vuol dire saper comandare da come lo ascoltavano ancora i suoi uomini e da come sapeva trasformare in direzione comune il risultato dell’ascolto e del dialogo. Lo faceva magari durante una buona cena, come amava fare nel centro di Roma, o nel nuovo ruolo di presidente di un’azienda strategica. Dava esempio e mostrava buone pratiche. Fu tra i primi ad arrivare a L’Aquila la notte del terremoto, ha lasciato la prova di un enorme impegno personale per aiutare e ricordi che ora sono confusi dalla commozione ed è difficile anche riferirli.

Nell’accezione speciale che può avere per un militare la parola amicizia si può dire che ne ha data e ricevuta tanta, tra mille relazioni e infinite parole ascoltate, cercando di trovare sempre la chiave di una visione, di una mentalità, di un’emotività. E' morto solo, nella sua stanza, con un colpo di pistola. Forse in una specie di ultimo dialogo, impossibile, con la moglie persa poche settimane fa.

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