Taxi delirio

Gualtieri li accarezza, ma i tassisti protestano comunque

Gianluca De Rosa

Nonostante il nuovo tariffario con corsa minima a 9 euro e un aumento delle licenze altamente sottodimensionato, a Roma la categoria è pronta alle barricate. Il bersaglio è l'aumento degli Ncc, che sono 974 da decenni

Le licenze aumentano meno di quanto servirebbe, le tariffe schizzano alle stelle per accontentarli, eppure, anche se è complicato da credere,  a Roma i tassisti sono sul piede di guerra. Con quattro milioni di corse inevase nel 2023,  pari complessivamente al 30,26 per cento del totale – con picchi fino al 50 per cento nei mesi estivi, perché “ad agosto i tassisti vanno in ferie” –,  turisti e romani sono costretti ad aspettare un auto per ore. Sotto il sole, come sotto la pioggia. La stazione Termini è diventata famosa in tutto il mondo come scalo ferroviario taxi free, ma ad arrabbiarsi sono sempre e comunque loro, i tassisti. Ieri, dopo insistenti richieste, le sigle sindacali del mondo taxi hanno incontrato in Campidoglio l’assessore capitolino alla Mobilità Eugenio Patanè. Entro fine luglio l’amministrazione ha promesso di pubblicare il bando per aumentare di mille unità le licenze. Un +13 per cento che porterebbe le licenze dalle attuali 7.715 a poco meno di 9 mila (anche se 150 serviranno ad aumentare la flotta per il trasporto disabili che oggi conta con vergogna su solo 31 auto).  Non accadeva dal 2006 quando l’allora sindaco Walter Veltroni varò l’ultimo aumento scatenando l’ira dei tassisti.

 

 

Lo diciamo subito però, l’amministrazione Gualtieri – che vanta anche un rappresentante della categoria, Elisabetta Lancellotti, eletta in Assemblea capitolina con la lista civica del sindaco – non è certo stata severa con i tassisti. E infatti  l’aumento varato dal Campidoglio è pesantemente sottodimensionato, o come diceva con un eufemismo ieri pomeriggio Patanè ai tassisti “arrotondato per difetto”. A spiegarlo ci ha pensato sin troppo bene qualche settimana fa l’Autorità di regolazione dei trasporti, l’autority che per legge deve dare un parere preventivo sull’aumento. Nel documento l’Art spiega come, stando al valore delle corse inevase, il Campidoglio stesso aveva stimato un aumento necessario di 2.300 licenze, oltre il doppio di quanto avverrà. Ciononostante l’autorità considera pure 2.300 “una stima per difetto dei bisogni reali”. Un’affermazione che spiega confrontando le meno di 10 mila licenze romane con quelle di analoghe capitale europee. A Londra i taxi sono 15.130, a Madrid  15.776 licenze, a Parigi  addirittura17.636. Tre città che per di più, scrive l’autority: “Presentano condizioni favorevoli all’uso dei servizi di mobilità collettiva e quindi hanno una potenziale minor necessità di ricorrere al servizio taxi per la concorrenza di servizi alternativi”. Non contenti i tassisti hanno anche ottenuto nel nuovo tariffario la previsione di una corsa minima. Chiunque salirà su un auto bianca dovrà spendere almeno 9 euro. Una scelta che il Campidoglio nella sua relazione all'Art spiega “con l’obiettivo di incentivare lo svolgimento delle cosiddette corse brevi che ad oggi, dalle analisi condotte sui dati di servizio acquisiti da Roma Capitale, registrano un alto tasso di domanda inevasa”. In pratica, invece di imporre ai tassisti di garantire le corse da stazione Termini li si paga di più per rendere vantaggioso il tragitto dallo scalo ferroviario ai “troppo vicini” hotel del centro. E poca importa che i tassisti svolgono un servizio pubblico e proprio per questo godono dei vantaggi di un mercato non liberalizzato.

E infatti al centro delle proteste dei tassisti, non ci sono le nuove mille licenze. Anzi. Quelle sono considerate un freno all’inevitabile abusivismo nato per l’endemica carenza di auto bianche e per di più, cedute a titolo oneroso – 73 mila euro per le le licenze normali e 58.400 per quelle per il trasporto disabili – costituiranno un tesoretto da quasi 71 milioni di euro che finirà per l’80 per cento nelle tasche degli attuali titolari di licenza: un bonus da poco meno di 7.500 euro ciascuno. Non male visto che è una cifra che vale più della metà del reddito medio dichiarato dalla categoria nella capitale (12.730 euro, attenzione: lordi). A preoccupare davvero i tassisti, che su questo sono pronti alle barricate, è l’aumento delle licenze Ncc. Attualmente a Roma sono 974, un numero ridicolo. La categoria infatti chiedeva un aumento di 5.100 nuove licenze, un quadruplicamento. Il Campidoglio si è fermato a 2.300. “Attualmente – spiega Lorenzo Giammarino, rappresentante degli Ncc – c’è un fabbisogno inevaso enorme: dopo la pandemia siamo stati costretti a lasciare a terra oltre il 40 per cento di chi cercava il nostro servizio. Poi  uno si chiede come mai c’è chi va a prendere la licenza a Canicattì o a Ragusa per lavorare nella capitale: c’è una domanda gigantesca che non viene soddisfatta”. Lo confermava ieri Patanè spiegando come ogni giorno sono 4.500 gli Ncc che chiedono l’ingresso in Ztl, oltre 3 mila in più delle licenze romane. Insomma, sono tantissimi a venire da fuori per colmare questo enorme vuoto di mercato.


Ma perché i tassisti temono così gli Ncc? Non è solo questione di concorrenza: il problema è il loro modello di business. A differenza delle licenze taxi, infatti, quelle Ncc sono cumulabili. Aprono insomma –  ben più delle doppie guide previste dal Campidoglio per spingere i  taxi a fare due turni al giorno con autisti diversi – a un’organizzazione aziendale del servizio. Il famoso “ingresso delle multinazionali” temuto dalla categoria, che portò alle barricate contro  il dl Concorrenza del governo Draghi che prevedeva proprio l’introduzione della cumulabilità delle licenze anche nel mondo taxi.

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