Foto Epa, via Ansa

Mark Violets e l'attentato a Trump, genesi di una fake news

Andrea Trapani

C'è chi incolpa i social network per la diffusione delle bufale e chi accusa i giornalisti di scarsa attenzione. Il problema però è più complesso e riguarda il nostro rapporto con impression e notizie

L’ecosistema di Internet si regge su un equilibrio difficile, tra vari processi che fanno parte anche della vita quotidiana. Per questo la rete veicola numerose attività, da quelle informative a quelle comunicative. In questo contesto si sono affermati diversi modelli di business in cui spiccano le attività dei motori di ricerca e dei social network che sono in grado di raccogliere e distribuire un grandissimo numero di informazioni e notizie.

L’attentato a Trump su internet

Immaginatevi un evento come l’attentato a Donald Trump e cosa può succedere su internet. Testate giornalistiche, influencer e semplici utenti hanno lo stesso obiettivo: dare per primi notizie su un evento di scala globale. Tanto facile a dirsi quanto a farsi, peccato che sia un processo impossibile da controllare. Come le bufale, o se preferite le fake news, che si diffondono in poche ore. Tra queste, nella notte italiana, quella di Mark Violets che ha colpito un utente italiano di X, vittima inconsapevole di un sistema che è capace di far diventare virale anche qualcosa che probabilmente, nelle intenzioni del creatore, doveva rimanere solo all’interno della propria (vasta) nicchia calciofila.

La genesi di una bufala

Una premessa è fondamentale. Chi scrive è stato autore, esattamente dieci anni fa, di una storia simile creata assieme a un gruppo di amici, su temi invero assai meno sensibili, per dimostrare quanto fosse facile scalare l’attenzione dei media con un messaggio divertente e verosimile. Un finto comunicato stampa rilanciato da un’agenzia inesistente (con un nome assai poco realistico, Press Grll, ma chi arriva fino in fondo a un lancio d’agenzia?) che informava come alcuni giornalisti canadesi, poco avvezzi con la geografia europea, avessero sbagliato la sede dei giochi olimpici invernali del 2014 raggiungendo l’abitato di Soci in provincia di Arezzo invece che Soci in Russia. Una bufala che alcuni colleghi presero sul serio, altri ne cavalcarono l’onda facendo leva sull’ironia toscana, tra cui lo stesso Matteo Renzi, insomma non ci fu alcun danno ma solo qualche risata. Anche perché, se fai uno scherzo del genere utilizzando la lingua italiana, è difficile che si possano superare i confini internazionali.

Il caso Mark Violets

È andata diversamente con Mark Violets: in questo caso i crismi per uscire dalla bolla del “Twitter Calcio” - una definizione di un contesto che meriterebbe a sua volta un capitolo a parte – c’erano tutti. Scritto in inglese, il post ha sfruttato al meglio la fame di notizie creando la tempesta perfetta per un mondo della comunicazione che – inondato da un flusso continuo come quello garantito da X – premia la velocità a discapito della verifica delle fonti.  Colpa dei social media urlano i giornalisti, colpa dei giornalisti replicano gli utenti dei primi.

Ancora non sappiamo se l’Unione europea abbia ragione o meno nella disfida delle “spunte blu” con Elon Musk, altresì è probabile – come ha ricordato anche Matteo Flora, noto comunicatore – che la visibilità che hanno alcuni account ‘verificati’ possa favorire la diffusione di fake news. Vero è che non serve chissà quale formazione accademica per capire quanto sia improbabile che uno scoop a livello mondiale possa provenire da un account con username @mussolinho.

Torniamo così al punto di partenza: se Marco Violi da tempo combatte contro un fenomeno che ha superato la goliardia, rimane un problema irrisolto: la voglia, o peggio ancora la necessità, di uscire prima degli altri che ha reso superflua ogni verifica della verità. Le impressions si vendono meglio delle notizie e, ancora una volta, ci troviamo impotenti contro le ripercussioni sociali delle filter bubble che alimentano le fake news. Insomma, siamo tutti colpevoli fino a quando qualcuno non deciderà che credere a tutto quello che si legge sia davvero troppo.

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