Derek Blasberg (GettyImages) 

shit happens

Gwyneth Paltrow, il Capote dell'èra di Instagram e i nuovi ricchi. Una storia estiva

Michele Masneri

I panni sporchi si lavano in famiglia (a meno che ci sia di mezzo l'Ozempic, vabbè)

Per distrarci dall’overtourism dei poveri, e dagli atleti algerini che vengono a picchiare le nostre donne rubandoci il lavoro, ecco una storia di ricchi, di pil e di cacca (scusate il pil). Ogni epoca ha il suo Truman Capote, e così sessant’anni fa il Ballo in bianco e nero organizzato dallo scrittore all’Hotel Plaza di New York suggellava l’apoteosi e insieme l’epilogo del più grande amico-di-ricchi che si sia mai visto: inteso come amico-conversatore, cioè intrattenitore h24, su barche e aerei, mestiere molto di nicchia ma non poco faticoso, come sanno i pochi che l’hanno praticato anche brevemente, anche come ospiti temporanei a Capalbio o Amorgos. Oggi tutto cambia ma niente cambia veramente, signora mia. Cigni – come Capote chiamava le sue ricche signore di Park Avenue – compresi.

 

Pure i luoghi e i mezzi di trasporto son rimasti più o meno quelli, si sa che la nautica e l’aviazione han fatto pochi progressi, così nell’estate delle Olimpiadi parigine è passato un po’ sotto silenzio un piccolo scandalo che invece ha molto tenuto banco tra New York, gli Hamptons e anche l’Italia. Storia minore, laterale, di stranicchia ma che forse racconta qualcosa dei nostri giorni. Ha come protagonista un tale di nome Derek Blasberg, un giovanotto americano che a un certo punto ha lavorato per Gagosian, ha scritto per Vogue America, è stato volto di Cnn, ha scritto un manuale di consigli di stile per signore intitolato “Classy”, è stato “responsabile moda” di YouTube, qualunque cosa voglia dire, ma soprattutto è in prima fila a qualsiasi Met Gala, a ogni sfilata tra New York Parigi e Milano, e sui panfili giusti, da quello di Barry Diller-Diane von Fürstenberg (sua grande amica) in giù. Amico di Kim Kardashian, Victoria Beckham, Naomi Campbell, Emma Chamberlain, Bella Hadid e insomma dei volti a maggiore presentabilità del globo, ma soprattutto è spammatore di post su Instagram che lo ritraggono con tutte le belle e famose del pianeta. Una “media personality”, un amico-dei ricchi in piena regola che però ha subìto un improvviso rovescio di fortuna.

  

A un certo punto ai primi di luglio hanno cominciato infatti a spuntare articoli mai smentiti, su tabloid inglesi e poi su siti americani, circa un misterioso incidente occorso nella tenuta al mare agli Hamptons di Gwyneth Paltrow, molto amica di Blasberg e del di lui marito, dove un misterioso ospite avrebbe avuto – ebbene sì – un portentoso attacco di diarrea. Scusate la volgarità, ma qui la diarrea mette in moto un meccanismo narrativo e spiega anche un po’ di economia globale. Il malcapitato diarroico infatti non sarebbe riuscito a nascondere l’accaduto, avrebbe cercato di lavare le gentilizie lenzuola, non riuscendoci avrebbe chiesto allo staff di casa di aiutarlo, ma niente, il danno era irrimediabile. La notizia è finita sui giornali, e poi pure il nome, appunto Blasberg, che già lo stilista Tom Ford aveva definito proprio “il nuovo Truman Capote” più per la vicinanza ai ricchi che per il corpus letterario. L’incidente segna probabilmente se non il crollo almeno un rallentamento della carriera e scalata sociale del neo-Capote, che con i suoi 1,6 milioni di followers sarebbe stato dismesso dal cigno contemporaneo per eccellenza, Paltrow, creatura al vertice di un ecosistema che incrocia arte-cinema-moda-business.

 

La notizia si è immediatamente diffusa tra Oprah Winfrey, Jerry e Jessica Seinfeld, Larry David e altri potenti. La britannica “Hello!” ha titolato maliziosamente “Poop at Goop”, ricordando Goop, l’impero dell’e-commerce della bionda attrice e ospite (oggi i cigni fanno l’e-commerce). Pare che il malcapitato abbia cercato di arginare i danni mediatici grazie anche alla sua migliore amica, non un’operaia della Comau bensì Dasha Zhukova, già signora Abramovich, e ora figlioccia di Rupert Murdoch (la mamma, la scienziata russa Elena Zhukova, a giugno ha sposato il quasi centenario editore). Infatti almeno il New York Post di proprietà del magnate non ha riportato la notizia. 

  

Le domande a questo punto sono però molteplici: perché Paltrow ha lasciato invece che la notizia trapelasse? L’ha fatto di proposito? Si è stufata dello sbafatore? Del resto pare che inizialmente fosse sospettosa di Blasberg: “ma tu esattamente cosa fai?” pare gli abbia chiesto anni fa. “Sei un professional best friend di celebrity?” gli avrebbe detto, ma poi è stata conquistata (quindi la risposta è sì, ma essere un professional best friend di ricchi mica è una roba da ridere, è un lavoro serissimo e usurante). 

    

Le lenzuola incriminate ricordano peraltro da vicino quell’altro incidente raccontato dal vero Capote: in “Preghiere esaudite”, il suo libro incompiuto che rivelava malefatte delle sue ricche amiche, e come si vede anche nella serie “Feud” su Disney Plus, le lenzuola in questione erano quelle di una suite dell’hotel Pierre di New York dove una mefistofelica moglie del governatore, Happy Rockefeller, aveva accettato di salire. L’appartamento era il pied à terrre di Bill Paley, fondatore della Cbs e marito della celebre Babe, il cigno più cigno di tutti, assente per il weekend. La malefica Happy, moglie di Nelson Rockefeller, aveva voluto umiliare il sessuomane Paley e le sue ambizioni di letto e di potere (era ebreo e self made man, come osava pensare di portarsi a letto proprio lei?). Così aveva accettato la lusinga, ma pretendendo il buio totale, e senza avvertirlo di avere il ciclo, con conseguente disastro carminio, e tentativo di uno degli uomini più potenti d’America e traditore seriale di lavare le suddette lenzuola. Almeno lui aveva avuto il buon senso di non avvisare il personale, ma poi, resosi conto che la moglie-cigno sarebbe rientrata dopo poche ore, aveva perso il suddetto buon senso e aveva ritenuto di asciugarle nel fornetto della suite con disastrosi risultati, finendo immortalato nella scena in cui uno degli uomini più importanti d’America si ritrova in ginocchio “come una contadina spagnola che lava i panni al fiume”, nel romanzo capotiano. 

    
Mutatis mutandis, il cagotto del nostro Capote di oggi pare sia dovuto invece all’Ozempic, il farmaco antidiabete che i ricchi globali (e i loro imitatori) hanno imparato a usare come straordinario dimagrante. E che ha creato un indotto immenso, tanto che si parla di “effetto Ozempic” non dimagrante ma ingrassante per l’azienda produttrice, la danese Novo Nordisk, che nel giro di cinque anni è diventata la compagnia in assoluto più profittevole d’Europa, con una capitalizzazione di Borsa di oltre 500 miliardi di dollari, battendo di gran lunga la francese Lvmh (peraltro appena andata in crisi per colpa dei cinesi che stanno tirando la cinghia). E in Danimarca 1 nuovo posto di lavoro su 5 è collegato al farmaco dimagrante. Ma l’effetto Ozempic non agisce solo sul pil danese, bensì anche sugli intestini americani: l’8 per cento dei pazienti infatti registra quel genere di problemi, ed è specificato che a peggiorare le cose c’è l’assunzione di alcolici e caffeina. Sarà stato quello a creare il danno al nostro neo-Capote? Nessuno dei protagonisti ha commentato o smentito la storia, il nostro neo-Capote per qualche giorno ha smesso di postare su Instagram, poi ha ripreso, immortalandosi a un matrimonio di altri belli e ricchi americani in trasferta  a Noto, forse tra altri professional best friend di celebrità, ma scendendo molto di livello (lì  la celebrità più celebre era lui). A quel matrimonio di semi-famosi si è vista poi la più grande distesa di addominali perfetti mai fotografata, e candele e smoking bianchi e neri tra i cannoli e le cassate (ma   saranno stati anche mangiati o solo fotografati? E l’Ozempic avrà controindicazioni con quegli zuccheri? Chissà se ne verrà fuori un bel romanzo).   
 
   

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).