L'overtourism a Roma

La fontana di Trevi a pagamento? Carandini, Fuksas, Strinati e Karrer commentano la proposta di Gualtieri

Gianluca De Rosa

Dai dubbi sulla fattIbilità alle perplessità  sul metodo fino a una riflessione più amplia sul turismo oggi e su come anche l'offerta che la città dà può influenzare la domanda di chi viene. Un breve girotondo di opinioni

Claudio Strinati, storico dell’arte e per anni soprintendente del polo museale romano, è convinto che in qualche modo, in effetti, sia necessario intervenire: “Un deterrente per ridurre l’affollamento davanti alla fontana di Trevi è senz’altro necessario. Il mio studio - racconta - è proprio lì dietro, ci passo spesso, devo dire che qualcosa per alleggerire le presenze nella piazza bisogna farla per forza”. Il sindaco Roberto Gualtieri e l’assessore al Turismo Alessandro Onorato stanno lavorando a una proposta per mettere la piazza di Trevi a pagamento: 2 euro per ogni turista e massimo mezz’ora il termine di permanenza davanti alla fontana. Settimana prossima con vigili e soprintendenza in Campidoglio si ragionerà seriamente sulla questione. Su questa soluzione anche Strinati però qualche dubbio lo ha: “Lo  spazio per contingentare gli ingresso è davvero piccolo, si rischia di complicare le cose spostando il problema sulle vie limitrofe, concordo sul principio ma non sono convinto da questa proposta”.

 

E’ d’accordo con lui anche Franco Karrer, professore ordinario di Urbanistica alla Sapienza di Roma, ed ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici. “Ammetto - dice - che mi sembra una proposta buffa. Io capisco che c’è bisogno per così dire di introitare, però forse meglio pensare ad altre soluzioni per farlo. Anche perché dal punto di vista gestionale la chiusura con ingressi a pagamento nella piazza mi pare molto difficile. In quel punto ci arrivano cinque strade, e quindi regolare il flusso, discriminando tra frequentatore saltuario e abituale, mi sembra davvero complicato. Per farlo sarebbe più facile usare una sorta di doppia corsia dentro la piazza. D’altronde non mi pare che al Pantheon il pagamento dell’ingresso abbia ridotto la pressione dei turisti sulla piazza”.

 

Il più indignato per la proposta del Campidoglio però è senz’altro l’archistar Massimiliano Fuksas: “E poi - dice - come proseguiamo: chiudiamo piazza Navona, e poi Trinità dei Monti? Che cosa facciamo degli sbarramenti ovunque? Trasformiamo Roma in una frontiera, in una coda doganale? Questa città è bella perché è libera, aperta, accessibile”. E però anche a Venezia, per affrontare le orde di turisti e in qualche modo fare cassa, il sindaco Luigi Brugnaro ha messo i tornelli alla città. “Ma Venezia - sbotta Fuksas - è un’isola, l’isola delle isole, è una cosa completamente diversa, non c’entra niente, e poi una volta che sei dentro giri liberamente. Roma è un’altra cosa. Le chiusure mi sembrano grandi stupidaggini. Non mi pare che a Parigi chiudano Rue de Rivoli perché ogni giorno ci passano alcune milioni di persone. Quello dell’overtourism è un problema globale del mondo, affrontarlo così è una presa in giro, bisognerebbe intervenire sui B&B come stanno facendo in tutto il mondo, da Parigi e New York, non con queste fesserie”.

 

Andrea Carandini, professore emerito di Archeologia alla Sapienza, da sempre attento osservatore di quello che accade nella capitale,  coglie invece questa discussione sulla fontana di Trevi per fare un discorso più ampio, provando a immaginare come governare il turismo possa non essere solo una questione di logistica dei flussi. “Ricordo bene - dice - quando alla fine del Covid sono tornato davanti a quella fontana e ho ammirato la bellezza suprema di quella piazza deserta, un confronto impietoso con l’orrore di quella stessa piazza gremita oggi di persone che nemmeno vedono la fontana perché pensano solo ai selfie. Davanti a tutto questo - prosegue l’archeologo - ci sono a mio avviso due strade percorribili: o si chiudono le piazze e si mettono a pagamento, come propone il comune, o si prova un’operazione più complessa, formare i turisti, rallentarli, offrendo loro il racconto  storico della città. Io sarei più favorevole a quest’ultima soluzione. Perché se quella piazza fosse piena di giovani turisti appassionati che godono realmente di quella vista, che si interrogano e imparano qualcosa, a me quella folla non darebbe fastidio perché sarebbe un insieme di individui, è quella folla anonima e uniforme che invece c’è oggi a essere orripilante. Scegliere di chiudere la piazza per permettere ai turisti di alternarsi a pagamento a fare selfie è il segno di una colossale impotenza formativa e culturale”. Per il professore, insomma, questa vicenda, e in generale il turismo mordi e fuggi, è un pretesto per una riflessione più complessa, su cosa sia oggi questo fenomeno e su come la città dovrebbe cercare di affrontarlo, perché no, persino con l’ambizione titanica di cambiarne la natura. “Le persone hanno questo bisogno di venire, andare, scattare qualche fotografia, sfuggono da qualche ignota angoscia ma non tornano mai migliori di prima. Un tempo venire in Italia era una esperienza che segnava la vita per sempre, Goehte dopo il viaggio era un’altra persona, e questo, pur in piccolo, dovrebbe ancora accadere, dovremmo provarci. Offrendo a chi viene esperienze formative, dalle notti con spettacoli multimediali al Colosseo a un museo di Roma che possa essere il cuore del racconto storico di questa città. E invece su tutto questo non viene fatto niente: o subiamo le invasioni barbariche del turismo o ci inventiamo il ‘numero limitato’. Non c’è dubbio che sull’arrivo dei turisti non si possa fare un granché, ma su come possiamo accoglierli e indirizzarli, su cosa possiamo offrirgli abbiamo delle grandi possibilità”.