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Smartphone

Vietare gli smartphone? Il processo tecnologico non si può fermare

Alessandro Villari

Bambini e ragazzi devono essere formati fin da subito per affrontare il mondo di domani, anche perché l'intelligenza artificiale è la più grande incognita del lavoro futuro

Niente smartphone sotto i quattordici anni e divieto di usare i social fino a sedici, questo è l’appello fatto da pedagogisti e psicologi, assieme agli attori Pierfrancesco Favino e Paola Cortellesi, al governo italiano. Studi scientifici, come quello che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha fatto nel 2023, hanno evidenziato come gli smartphone possono provocare danni allo sviluppo cognitivo del bambino. Ma proibirne l’uso è davvero il modo migliore per affrontare la questione?

L'idea che vietare l'utilizzo di apparecchi tecnologici ai più giovani possa preservarli da problemi e pericoli è anzi dannosa. La tecnologia è in potenza neutra, dovrebbe essere loro chiaro fin da subito che è l'utilizzo che se ne fa a renderla positiva o negativa. E che soprattutto non c'è futuro senza una conoscenza approfondita del processo tecnologico.

Prendiamo l'ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Secondo quanto emerge dal report dell'Ocse, il 27% dei lavori odierni sono ad alto rischio di automazione. Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, così quello della ricerca. Pure la vita di tutti i giorni è fatta di interconnettività e digitalizzazione, pensare che il percorso formativo di un giovane individuo possa non confrontarsi con tutto questo può essere controproducente o irresponsabile.

Nello studio dell'Ocse emerge come nell'attuale mondo del lavoro gli impiegati più anziani, soprattutto per quelli privi di istruzione superiore, potrebbero avere una maggiore probabilità di dover abbandonare prematuramente il loro posto con conseguenti “disparità pensionistica e insicurezza economica", a causa dei limiti di formazione tecnologica. Per questo "i sistemi educativi a tutti i livelli" dovrebbero "rispondere a queste sfide emergenti”.

Tutto quindi parte dalla scuola. Dalla capacità che questa ha di prepare le giovani generazioni nel miglior modo possibile alle sfide tecnologiche future.

Tipo quella dell'intelligenza artificiale che, già ora, ci sta mettendo di fronte a sfide inedite e grandi opportunità nel lavoro di domani. “Dal momento che l’Ia espande la gamma di attività che potrebbero essere automatizzate, oltre a quelle non cognitive, c’è bisogno di nuove competenze”, scrive l'Ocse che sottolinea come sia sempre più necessario saper coniugare il mondo scolastico e quello lavorativo e proprio per questo sia fondamentale apprendere l’informatica sin da piccoli.

E una formazione che mette subito a contatto i giovani con la tecnologia ha più possibilità di responsabilizzarli e fare in modo che abbiano un corretto rapporto con questa.

L'Ocse evidenzia che serviranno, anzi servono, nell’economia di oggi, “lavoratori altamente qualificati”. E più esperienza si acquisisce sul campo, più facile sarà lavorare. Invece, quelli che resteranno indietro “si trovano ad affrontare prospettive meno rosee per il mercato del lavoro, tra cui salati più bassi e un maggiore rischio di disoccupazione”.

Non solo va data una maggiore istruzione tech ai più piccoli, ma anzi sarebbe necessario dare un "update" anche agli adulti, in modo da permettere loro di interagire in modo consapevole e fruttuoso con le ultime tecnologie.

In media, nei paesi Ocse, i tassi di partecipazione degli adulti all’istruzione e alla formazione sono rimasti invariati dal 2016 al 2022 (45 per cento), ma vi sono andamenti diversi tra le nazioni: Germania, Ungheria, Repubblica slovacca e Spagna hanno visto aumenti di oltre 5 punti percentuali nello stesso periodo mentre in Bulgaria, Croazia e Polonia i tassi di partecipazione erano inferiori di oltre 10 punti nel 2016 e sono peggiorati ulteriormente nel 2022.

Per poter apprendere è necessario avere gli strumenti tecnologici più adatti, ma l’Ocse segnala che in media, il 78 per cento della spesa corrente va alla retribuzione del personale di scuola primaria e secondaria inferiore, il 77 per cento a quello delle scuole secondarie superiori, invece a livello terziario la quota si ferma mediamente a 67 per cento. Questa tendenza, riscontrata in tutti i paesi Ocse, dimostra come forniture e attrezzature svolgano un ruolo meno importante nei cicli inferiori rispetto all’educazione terziaria.

Tra i diversi problemi del mondo della scuola bisogna tener presente anche questo: tra il 2013 e il 2022 non c'è stato un ringiovanimento del corpo docente in tutti i livelli di istruzione in undici dei diciannove paesi. La tendenza è più marcata nell’istruzione pre-primaria e secondaria superiore. Gli insegnanti più giovani hanno “maggiori probabilità di avere le competenze per utilizzare efficacemente le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict)”, mentre i più anziani potrebbero riscontrare difficoltà maggiori. Fermare il processo tecnologico con una carta bollata non porterà lontano.

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