L'inaugurazione sul lungomare di Napoli della Crazy Pizza di Flavio Briatore al quale ha fatto visita, dopo le critiche, il pizzaiolo Gino Sorbillo (Ansa) 

Tragedia e commedia

Antigone e i fiori di Flavio Briatore

Andrea Venanzoni

Il Crazy Pizza di via Veneto sanzionato per le composizioni floreali usate come allestimenti esterni. qual è il senso di una cosa del genere in una città paludosa come Roma, in cui caos, degrado e disagio sono divenuti ornamenti permanenti?

Il Crazy Pizza di via Veneto, ristorante di Flavio Briatore, è stato sanzionato. Subito ne è insorta una querelle politico-culinaria che ha coinvolto le menti e i cuori dei cittadini e dell’amministrazione stessa, quando si è scoperto per cosa l’attività era stata sanzionata; la polizia locale ha eccepito sulle composizioni floreali usate dal ristorante come allestimenti esterni e, normativa alla mano, gli ha recapitato una sanzione di duecentododici euro. Non la prima, per vero, che riceve il ristorante ma senza dubbio quella che è destinata a far più rumore, per il suo impatto floreale, e che gli altri commercianti del Centro storico conoscono bene, spesso per esserci passati loro stessi.

Briatore non l’ha presa esattamente benissimo e la sua reazione social, un attacco frontale all’amministrazione romana con tanto di appello alla popolazione cittadina a non votare più gente del genere, oltre a non essere tardata non passerà alla storia come epitome della moderazione. Il personaggio, lo si sa, non piace a molti. Non solo e non tanto perché è ricco, e in Italia questa è colpa ontologica da espiare sempre, ma anche perché ha modi che definire spigolosi sarebbe ingiusto per gli spigoli. Inesorabile nella schermaglia ecco giungere la replica, sempre per via digitale, dell’amministrazione, nella sua articolazione municipale. Tutto bene, allora? Dialettica strutturale di un sanzionato eccellente e di un sanzionatore che non ci sta a perdere la faccia?

Non propriamente, perché a dare teorica manforte all’imprenditore ci pensa il capogruppo capitolino della Lista civica Gualtieri, Giorgio Trabucco, il quale ammette che essendo comunque tutti i cittadini tenuti al rispetto delle regole, premessa ineluttabile, alcune regole appaiono un po' contorte e folli. È, diciamolo, l’eterna lotta tra Antigone e Creonte, l’abisso della legalità e della legittimità, la contrapposizione storico-concettuale tra diritto positivo e ordine naturale, l’incarnazione di un ordinamento che si assume per perfetto e completo contro una etica assoluta che governa gli uomini e le loro azioni trascendendo quello stesso ordinamento, tutto ciò che ci trasforma in Carl Schmitt, Norberto Bobbio, Hans Kelsen, Natalino Irti e soprattutto il Gustav Radbruch che nel concetto di ‘natura delle cose’ individuava il ‘senso che abita dentro gli istituti giuridici’, quando ci confrontiamo con il vigile che vorrebbe sanzionarci perché abbiamo parcheggiato in doppia fila, rigorosamente per cinque minuti, anzi minutini, come ci teniamo a elucubrare nel processo sommario verbale e vocale che si tiene per pubblica via.

Senza voler seguire Briatore nella sua tortuosa via di camorre e criminalità organizzate descritte quali veri problemi di Roma, la famigerata frase che sempre al vigile inflessibile il cittadino antigoneo ulula ‘ma andate ad arrestare i veri criminali invece di multare me’, traduco liberamente dal vernacolo romanesco e ometto pietosamente l’addendum di varie ed eventuali contumelie, c’è da dire che Radbruch aveva le sue ragioni; sulle macerie fumanti dell’Europa uscita spezzata dal secondo conflitto mondiale e con la pestilenziale esperienza dei campi di sterminio, orrendamente realizzati all’ombra della legge formale, il giusnaturalismo e il senso delle cose nella relazionalità creativa degli istituti giuridici ebbero rivincita sull’aborrito e freddissimo diritto positivo.

Temperando gli eccessi che lo stesso neogiusnaturalismo può incarnare e rimanendo razionalmente coi piedi per terra nel quadro di una vicenda come quella in oggetto, c’è da dire che il senso di una norma che sanziona l’esposizione floreale, nel ventre di una città paludosa, in cui caos, degrado e disagio sono divenuti loro sì ornamenti permanenti, è assai evanescente, scarno e spettrale. Replica il solerte giuspositivista dal verbale facile, la città è ridotta così anche per queste piccole violazioni che messe tutte assieme tra loro dipingono il quadro del caos prima descritto; e giù un profluvio di teoriche delle “finestre rotte”, e quella roba per cui si inizia con le doppie file o una finestra rotta o fiori esposti abusivamente e si arriva in mezzo minuto a Totò Riina.

C’è però in questa cruda attitudine creontica di legalità puntuta un errore prospettico che si deve rimarcare; la gradazione delle violazioni accertate, il loro numero, la sistematicità di interventi di ‘bonifica’ di comportamenti vietati, grandi o piccoli, appaiono caotici e quasi casuali. In una città al collasso, è questo il senso delle cose che evidenzia lo scarso senso di quella norma e di quella sanzione, e in cui funziona poco, e la stessa amministrazione non rimanda esatta immagine di efficienza, una sanzione per i fiori non aumenta il senso civico cittadino ma lo rende barzelletta.

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