Da Youtube alla libreria
I "quartieri criminali" di Simone Cicalone diventano un libro
In un volume edito DeAgostini il pugile youtuber racconta alcune delle storie di riscattoraccolte durante le riprese dei suoi video. Un documentario in presa diretta con in primo piano le voci degli abitanti di quartieri spesso finiti lontano dal radar dell’opinione pubblica e delle istituzioni
Stazione Termini, non-luogo per eccellenza lo definirebbe Marc Augè. Un non-luogo che noi non viviamo e i cui abitanti affrontiamo come fossero spettri macilenti, spesso spaventosi. Termini, teatro della presentazione, inevitabile si direbbe, di ‘Quartieri criminali’, il libro di Simone Cicalone e Mattia Faraoni, edito da De Agostini. Il libro, diciamolo subito, non è mero prodotto da influencer, non un segno notarile di un successo da certificare attraverso la carta. Né una mera traslazione dei contenuti già apparsi nei video che compongono l’omonimo format.
Queste pagine sono storia di storie. Narrazioni, racconti, reali, crudi, sovente crudeli, che però riconducono quelle figure che abbiamo visto nei video, o che magari abbiamo incontrato quando frettolosi fendiamo le zone attorno la stazione Termini, a una loro dimensione individuale, di persone, e non più di fantasmi prigionieri nel cemento. Questo libro è la ideale quadratura del cerchio di una lunga esperienza, più che di un mero format. Uno sguardo retrospettivo, di insieme, su un viaggio che è andato oltre i confini capitolini.
“Quartieri Criminali” è prima di tutto infatti un viaggio. Un documentario in presa diretta, senza provocazioni puerili e con in primo piano le voci degli abitanti di quartieri spesso finiti lontano dal radar dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Senza filtri, senza moralismo peloso, senza quella intellettualità che finisce sempre per distanziare il soggetto che narra dall’oggetto o dagli altri soggetti narrati. Cicalone, Faraoni e la loro crew hanno proposto una modalità narrativa non molto percorsa in precedenza: l’esempio che viene alla mente, uno dei pochi, è il documentario “Residence Bastogi”, realizzato da Magnolia nel contesto di un format più ampio dal suggestivo nome “Il mestiere di vivere”, chiaro riferimento a Cesare Pavese, e andato in onda su Rai3 agli inizi degli anni Duemila.
La serie fece molto discutere, per la sua indubbia crudezza, per il suo tono avalutativo, privo di sovrastrutture giudicanti. Le critiche all’epoca sollevate non si discostano molto da quelle mosse poi nei confronti di Cicalone. Il libro, come può immaginare chi è familiare con il format, non è un pasto semplice. Sono storie sofferte, spesso strazianti, in primis quella che apre il volume, la storia di Mattia Pileggi, il cui vissuto è stato segnato da vicende che avrebbero spezzato molti. E sono del pari, tutte, storie di riscatto feroce, di lotta, di combattimento, non solo nel senso di sport da combattimento, ma proprio di confronto vivo con i demoni del reale.
Ovviamente gli sport da combattimento sono l’elemento innovativo del format e una presenza costante nel volume: hanno congiunto, come linguaggio comune, persone in arrivo da storie, vissuti e quartieri diversi. Cicalone, Faraoni, Pileggi, non vengono accettati nei quartieri problematici perché potrebbero essere percepiti come grandi e grossi, minacciosi, capaci di menare le mani. Vengono visti e annusati come parte di quell’invisibile ragnatela che lega tra loro persone che hanno praticato quelle forme e quei veicoli di riscatto, di salvezza, di redenzione chiamati boxe, kick boxing; utilissimi per tenere la mente impegnata nelle maglie di un meccanismo che ti plasma, che ti dice che devi soffrire, rinunciare e lasciar cadere per via le tentazioni. Catarsi ed epifania attraverso l’abnegazione e la disciplina.
Nel libro troviamo i quartieri, certo, ma soprattutto le persone. Thomas e la sua umanissima vicenda con lieto fine di ritorno nella terra dei padri. Tommaso Marsella, memoria della Roma criminale e migliore strumento possibile, con la sua esistenza annichilita dalle morti e dalla galera, di de-glamourizzazione del crimine. Maurizio Ortolan, poliziotto anti-mafia che collaborò con Falcone e Borsellino. Genny lo Zio, ex detenuto di lungo corso, redento e solidale a Rozzano, località di pessima fama che lui ha cercato di redimere e che invece di recente Fedez ha psicogeograficamente richiamato come certificazione di vita criminale, suscitando la somma e giusta indignazione del sindaco Gianni Ferretti. Sommersi e salvati, chi si è riscattato, chi lotta per riscattarsi, chi è stato travolto e che pure vive, continuando a volersi dire essere umano, persona, non personaggio o trafiletto sbadato di cronaca nera.
Aggiornamento 20 ottobre 2024:
Al direttore - In ordine all’articolo “I ‘quartieri criminali’ di Simone Cicalone diventano un libro”, pubblicato l’11.10.2024, Federico Lucia (in arte Fedez) – con specifico riferimento al periodo dell’articolo (“Rozzano, località di pessima fama (…) che, di recente Fedez ha psicogeograficamente richiamato come certificazione di vita criminale, suscitando la somma e giusta indignazione del sindaco Gianni Ferretti”), ove implicitamente si fa riferimento ad una frase che l’artista avrebbe pronunciato nel corso di una lite – nega recisamente, diversamente da quanto affermato da una sola persona presente nell’occorso episodio, di aver mai pronunciato la detta frase, come confermato da più testimoni del pari presenti.