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Maltempo al nord, l'Emilia-Romagna ancora sott'acqua. Come salvarsi

Giulio Boccaletti

Le piene di questi giorni eccedono la nostra esperienza: dobbiamo prepararci a gestire rischi più alti di quelli ai quali eravamo abituati. Tre cose che governo, istituzioni, cittadini dovrebbero fare. Subito

L’Emilia-Romagna è di nuovo finita sott’acqua, tragicamente. Queste piene eccedono la nostra esperienza. Sono originario di Budrio, un paese nel Bolognese, dove ieri il torrente Idice ha tracimato, allagando il paese. La parte montana del bacino copre circa 400 chilometri quadrati. Quando, come ieri, cadono più di 100 millimetri di acqua in un giorno, nel bacino si raccolgono 40 milioni di metri cubi d’acqua che, per la maggior parte, confluiscono nel torrente e scendono a valle. Dove c’è Budrio, appunto. Lì il fiume entra negli argini per poi continuare per altri trenta chilometri fino a raggiungere il Reno. Se l’acqua è di più di quella che il fiume può accomodare, esce. E infatti è uscita. 

 

Le infrastrutture che abbiamo, sono dimensionate su quantità di acqua tipiche delle serie storiche. Ma sono due anni che in tutta Italia eccediamo le serie storiche. Le statistiche meteoclimatiche stanno cambiando in linea con ciò che ci si aspettava dal riscaldamento del Mediterraneo, ed è probabile che questi eventi saranno sempre più frequenti. Dobbiamo prepararci a gestire rischi più alti di quelli ai quali eravamo abituati.

   

Che fare? Tre azioni. Una per il governo, una per le istituzioni, una per noi. 

 

Per il governo: vanno potenziate le istituzioni tecniche e in particolare le autorità di bacino. In tutti i grandi fiumi del mondo, dal Danubio al Mississippi, la prima e più importante leva di gestione delle alluvioni è decidere dove fare uscire il fiume nel momento dell’emergenza. Se non lo decidiamo noi, lo decide il fiume. Per farlo abbiamo bisogno di piani che ci dicano dove si possono laminare le piene: spazi aperti, campi, parchi, zone umide in tutti i bacini dove si può far uscire l’acqua in modo da evitare che tracimi altrove. Date le dimensioni del problema, non è detto che ci sia abbastanza spazio per proteggere tutti gli inurbamenti. Quindi dobbiamo fare scelte informate e difficili su dove possiamo tollerare rischi, minimizzando le perdite. Siamo gravemente indietro su questo. Non solo le strutture tecniche sono cronicamente sottodimensionate – la segreteria dell’Autorità di Bacino del Po sta operando con la metà del personale previsto – ma il taglio lineare del 5 per cento annunciato dal governo ridurrà ulteriormente i fondi di funzionamento delle autorità, incluso quella del Po. E’ un errore. Le strutture tecniche di bacino vanno potenziate ora, perché sono le uniche ad avere la visione integrata necessaria per guidare la gestione dinamica dei fiumi da parte delle autorità locali, regionali, e straordinarie. 

 

Per le istituzioni: non basta sapere dove fare uscire il fiume o quali interventi servono, se poi non c’è un coordinamento in tempo reale per mettere queste informazioni a terra. Il ritmo degli eventi non è dettato dai tempi burocratici ma dalla meteorologia, e dobbiamo dimensionare i nostri tempi di risposta di conseguenza. Lo sappiamo fare per la protezione civile ma dobbiamo farlo anche per la gestione territoriale. Per esempio, l’Autorità del Po ha sviluppato il piano speciale di bacino, per mettere in sicurezza il territorio, tra gennaio e l’inizio di giugno di quest’anno, quando è stato presentato al commissario straordinario. Per recepirlo però il commissario straordinario deve sentire il parere dei ministeri, che forse, a fine ottobre, si saranno espressi. Cinque mesi per valutare un piano urgente scritto in cinque mesi. Nel frattempo, c’è stata una nuova alluvione in Romagna e ora nel Bolognese. Non ci siamo. Qui serve una guida politica che imponga ritmi diversi alla macchina burocratica. 

 

Per noi, i cittadini: non permettiamo che la discussione venga catturata da chiacchiere su fossi mal gestiti, cementificazione selvaggia, pulizia di alvei e altro. Sono distrazioni che diluiscono il nostro potere di sorveglianza. Ormai viviamo in un territorio più rischioso. Non possiamo fare finta che la realtà non sia cambiata. A una voce, da destra e sinistra, dobbiamo chiedere con forza il potenziamento delle autorità tecniche e spingere le nostre istituzioni ad avvalersene per coordinarsi tra comuni, bonifiche, autorità regionali, e gestire in tempo reale le piene dei bacini nei quali viviamo. Le alluvioni e la siccità che sempre più colpiscono il nostro territorio sono il sintomo di un clima che cambia. Stiamo combattendo con le mani legate dietro la schiena: a fronte di un territorio sotto-ingegnerizzato per la quantità di acqua che sta scendendo, abbiamo una mancanza cronica di pianificazione e coordinamento territoriale. Non so come altro dirvelo: sta succedendo, si può gestire, ma è ora di cambiare radicalmente passo. 

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