zero controlli
I controlli mancati dietro gli agenti spioni: la circolare ignorata del Viminale
Secondo le direttive del ministero dell'Interno, i comandanti dei reparti delle forze dell'ordine sono tenuti a controllare gli accessi effettuati alla banca dati Sdi dai propri sottoposti. Nel caso al centro dell'inchiesta di Milano questo non è avvenuto, ma i capi non risultano indagati
Com’è stato possibile che per due anni diversi membri delle forze dell’ordine (sono tre, per il momento, gli indagati) abbiano rifornito la società di investigazione Equalize di migliaia di dati estrapolati in modo abusivo dalla banca dati Sdi del ministero dell’Interno senza che nessuno nei rispettivi uffici se ne accorgesse? E pensare, come impone una circolare del 2013 del Viminale rivolta a tutte le forze di polizia, visionata dal Foglio, che ciascun comandante di reparto è tenuto a controllare periodicamente gli accessi effettuati allo Sdi dai propri sottoposti. Una cosa, invece, è certa: gli obblighi di controllo non sono stati affatto rispettati.
I membri delle forze dell’ordine accusati di essersi introdotti in maniera abusiva alla banca dati Sdi sono per il momento tre. Due sono in servizio alla Direzione investigativa antimafia di Lecce: Giuliano Schiano, maresciallo della Guardia di Finanza, e Tommaso Cagnazzo, maresciallo dei Carabinieri. Il terzo è invece in servizio al commissariato di polizia di Rho-Pero, nel milanese: si tratta di Marco Malerba, sovrintendente della Polizia. Tutti e tre, secondo l’indagine della procura di Milano, avrebbero esfiltrato le informazioni riservate (decine di migliaia) dallo Sdi per poi fornirle ai manager di Equalize in cambio di utilità. La domanda sorge spontanea: com’è possibile che nessuno si sia accorto di tutto ciò?
La domanda diventa ancora più attuale alla luce degli obblighi di controllo esplicitamente previsti in capo ai superiori gerarchici da una circolare del 2013 del Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, destinata alle varie forze di polizia. La circolare, richiamando una precedente direttiva del 2006, impone alle forze di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di stato, Polizia penitenziaria) di adottare “misure di sicurezza volte a garantire un’adeguata protezione delle informazioni memorizzate nel Centro elaborazione dati”. In particolare, richiama i responsabili Sdi dei vari reparti di polizia a svolgere l’attività di controllo sugli accessi effettuati allo Sdi “con la massima frequenza possibile”.
Ancora più precise sono le direttive impartite dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, che indicano per ciascun ufficio gli ufficiali “responsabili dell’autorizzazione, verifica e aggiornamento delle credenziali Sdi del personale dipendente”. Alla voce “controlli”, inoltre, si legge: “L’ufficiale responsabile Sdi ha l’obbligo di verificare, con cadenza bimestrale, le autorizzazioni rilasciate ai propri dipendenti e i relativi profili di accesso”, avvalendosi anche di un’applicazione “che consente di visualizzare, in termini statistici e di dettaglio, gli accessi del personale dipendente negli ultimi 30 giorni”.
Insomma, i comandanti dei vari reparti operativi hanno l’esplicito dovere di controllare che l’accesso alla banca dati Sdi da parte dei componenti dell’ufficio avvenga secondo le regole previste dalla legge. In altre parole, non è possibile effettuare ricerche su La Russa, Renzi, Scaroni o Alex Britti senza che questo sia giustificato da esigenze di servizio. Eppure, mentre gli agenti che hanno effettuato questi accessi abusivi risultano indagati, nessuna azione è stata intrapresa nei confronti di coloro che avrebbero dovuto vigilare sul corretto accesso alla banca dati. Come se i magistrati avessero il timore di mettere sotto inchiesta il comandante di un commissariato o di un nucleo investigativo. L’assenza di controlli interni e la timidezza dei pm restituiscono l’immagine di una situazione di anarchia, in cui qualsiasi agente può diventare lo spione di mezza Italia.
La situazione è resa ancor più paradossale da un altro fatto. A questa “timidezza” della magistratura nei confronti dei vertici gerarchici delle forze di polizia, infatti, fa da contraltare l’apertura di innumerevoli inchieste nei confronti di agenti o ex agenti di polizia che per anni hanno svolto attività in reparti speciali, ad alto rischio di criminalità, per questo facendo ampio ricorso allo Sdi per motivi di sicurezza, ai quali ora però, a distanza di anni, viene contestato l’accesso abusivo alla banca dati. L’ennesima follia della giustizia italiana.