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caso dossieraggio

“Ecco perché i controlli sulle banche dati sono un colabrodo”. Parla un colonnello dei Carabinieri

Ermes Antonucci

"I comandanti dei reparti delle forze dell’ordine hanno l’obbligo di monitorare il lavoro dei sottoposti, ma non lo fanno. Questo avviene perché l’assenza di controllo non ha mai avuto conseguenze né sul piano penale né su quello disciplinare”, dice l'ufficiale dell'Arma

“Gli alert per controllare gli accessi illeciti alla banca dati Sdi del ministero dell’Interno già esistono. Il loro potenziamento quindi, seppur utile, non risolverebbe il problema, che invece è costituito dall’assenza di controlli da parte dei comandanti dei reparti delle forze dell’ordine, che hanno l’obbligo di monitorare il lavoro dei sottoposti. Questo avviene perché l’assenza di controllo non ha mai avuto conseguenze né sul piano penale né su quello disciplinare”. A parlare, intervistato dal Foglio, è un colonnello dei Carabinieri, in servizio da oltre vent’anni, commentando l’inchiesta milanese sui dossieraggi. Come spiegato su queste pagine due giorni fa, una circolare del Viminale, rivolta a tutte le forze di polizia, impone a ciascun comandante di reparto di controllare periodicamente gli accessi effettuati allo Sdi dai propri agenti.

 

“Ogni trenta giorni i comandanti delle  unità devono controllare gli accessi attraverso un’applicazione chiamata ‘Statistiche del personale’”, spiega il colonnello. “Già alla prima schermata questo sistema avvisa i comandanti, con degli alert, dell’esistenza di anomalie, come un picco di accessi da parte di un agente”. Il sistema, quindi, già oggi “segnala se ci sono agenti che, per esempio, hanno fatto il doppio di accessi allo Sdi rispetto ai colleghi. E’ difficile non accorgersene”. Anche senza il supporto degli alert, i comandanti possono comunque scorrere le statistiche degli accessi  dei singoli agenti. 

 

I comandanti possono vedere nel dettaglio quali nominativi sono stati cercati nello Sdi e per quali ragioni. “Se stai cercando un rapinatore, ti serve controllare tante cose ma non la banca dati Inps per vedere quanti contributi ha versato. Se andando a vedere i dettagli del nominativo cercato, il comandante vede che l’agente è andato a controllare i contributi all’Inps allora c’è qualcosa che non va”. Nonostante l’alto numero di accessi  allo Sdi  non si tratta, comunque, di un’attività di controllo particolarmente impegnativa. “Un comandante di sezione, che ha sotto di sé 15-20 agenti, ci impiega 20 minuti”, afferma in maniera secca l’ufficiale del Carabinieri

 

Com’è possibile allora che, nel caso dello scandalo che ruota attorno alla società Equalize, il comandante del commissariato di Rho o il capo della Direzione investigativa antimafia di Lecce, a cui appartenevano gli agenti “infedeli”, non si sia accorto della grande mole di accessi illeciti allo Sdi svolti dai propri sottoposti? La domanda risulta ancora più scottante alla luce di un altro dettaglio: nel caso in cui i comandanti non accedano al sistema di controllo, la loro utenza viene automaticamente disattivata dal sistema centrale del Viminale. Questo significa che, nei casi in questione, coloro che avevano il dovere di monitorare gli accessi allo Sdi avrebbero aperto l’applicazione di controllo, ma poi non avrebbero badato agli alert né effettuato alcuna verifica effettiva sulle statistiche riportate. “I comandanti hanno certificato che gli accessi avvenivano secondo le regole senza in realtà svolgere alcun controllo”, afferma il colonnello: “Saremmo di fronte a un falso in atto pubblico”.  

 

Insomma, siamo di fronte a un lassismo diffuso. “Questo avviene perché l’assenza di controllo non ha mai avuto conseguenze”, spiega il colonnello. “In teoria chi nella scala gerarchica siede sopra il dirigente di commissariato o sopra il comandante del nucleo antimafia dovrebbe intervenire, ma non avviene nulla. L’amministrazione è completamente inerte, a partire dai vertici”. Dall’altro lato, quando emergono casi di accessi illeciti, la magistratura mostra un certo timore nel verificare l’operato dei superiori gerarchici: “Diciamo che i pm, per questioni di vicinanza, mostrano una certa ritrosia a indagare i comandanti dei commissariati o i capi di una direzione investigativa antimafia”, riflette l’ufficiale.

 

Potenziare il sistema degli alert, come avrebbe intenzione di fare il governo, dunque, non risolverebbe il problema. “Qualsiasi amministrazione delle forze di polizia ha già al suo interno gli anticorpi, ma questi non si attivano”, ribadisce l’ufficiale dei Carabinieri. Per queste ragioni, prosegue, in questo momento avrebbe più senso che i comandi generali delle forze di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di stato, Polizia penitenziaria) battessero un colpo per richiamare al rispetto delle regole esistenti. “Il capo del Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno, che si identifica nel capo della Polizia (Vittorio Pisani, ndr), avrebbe tutto il titolo ad adottare una circolare che richiama le forze di polizia al rispetto delle norme già previste sui controlli sugli accessi allo Sdi, ricordando che la mancata osservanza di questi obblighi si traduce in risvolti innanzitutto di natura disciplinare”.

 

In altre parole, il capo della Polizia “dovrebbe lanciare un messaggio a tutti gli agenti: se tu sbagli la tua amministrazione sarà la prima a venire a cercarti. Solo così si può pensare di cambiare le cose”, conclude il colonnello. 
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]