Uccidere Sergio Ramelli, ancora

Maurizio Crippa

Lo studente del Fonte della Gioventù del liceo Molinari fu ucciso da militanti di sinistra nel 1975. Trent'anni dopo fu messa una targa che non nomina i responsabili. Per l'anniversario il ministero ha proposto una nuova scritta, ma è stato respinto dal quel "presidio educativo" che è la scuola pubblica. Il libro di Culicchia a testa in giù

Si fa presto a dire la funzione di presidio educativo e civile della scuola pubblica. Nella sempre deprecata epoca senza memoria e di nuovi estremismi, poi. Invece i dirigenti, il Consiglio di istituto, alcune sigle sindacali (Cub), alcuni (non tutti) docenti e genitori, una “rappresentanza del personale scolastico” e l’immancabile Collettivo dell’Istituto tecnico tecnologico - liceo scientifico Molinari di Crescenzago, Milano – la scuola frequentata da Sergio Ramelli, lo studente del Fronte della Gioventù ucciso esattamente cinquant’anni fa a sprangate da esponenti di Avanguardia operaia – hanno perso una buona occasione per esercitare il loro ruolo civile e democratico. O almeno per tacere. E magari per fare ammenda per come cinquant’anni fa la scuola tradì il suo compito. E Sergio. La storia tragica di Sergio Ramelli è nota, per quanto da sempre sottoposta a tentativi di mistificazione.

  
Iscritto al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi, dunque legale, Ramelli non era un attivista né un violento; ma aveva scritto un tema in cui aveva parlato dell’uccisione di due militanti del Msi a Padova, per mano di brigatisti. Il testo fu tolto al professore da militanti di estrema sinistra, letto in classe e appeso nella bacheca della scuola, additato come “il tema del fascista”. Da lì iniziò la campagna di odio contro di lui. La scuola, la famosa istituzione democratica, fece poco o nulla per contrastare quello scempio. Il preside concedette anzi l’aula magna per una assemblea di studenti e professori che intimarono a Ramelli di ritirarsi dalla scuola. Non si ricordano segni di ravvedimento da parte del corpo docente del Molinari, nemmeno in anni successivi o recenti. Si dovette aspettare il 2007 perché fosse posta una targa in ricordo, per l’insistenza dell’allora assessore provinciale all’Istruzione, Paola Frassinetti, ora sottosegretaria all’Istruzione. Che oggi sarà al Molinari col ministro Giuseppe Valditara, In gennaio, Frassinetti aveva scritto alla scuola chiedendo di mettere una nuova, e meno reticente, targa in ricordo per il cinquantesimo dell’omicidio. Il Consiglio d’istituto ha risposto di no, giudicando all’unanimità quella esistente “adeguata alla funzione di ricordare lo studente Sergio Ramelli”. La targa esistente e adeguata dice: “In ricordo di Sergio Ramelli studente di questo Istituto ucciso il 27 aprile 1975”. Sta nascosta nell’aula professori, come una vergona. Per quel che si legge, Sergio potrebbe essere stato ucciso dal proiettile vagante di un cacciatore di frodo.
Perché il punto, che l’istituzione democratica e presidio civile della scuola tiene da 50 anni, è sempre lo stesso: lo studente fascista vale di meno, e soprattutto non va detto che è stata la sinistra extraparlamentare a uccidere.
Dunque  secondo il Cub la visita del ministro è “una cerimonia inopportuna”, anzi Valditara “sa bene che non omne quod licet honestum est”. Perbacco. Evidentemente hanno studiato, ma non compreso: se arrivano a definire “non onesto” il ricordo e l’affermazione della verità storica.
Nella lettera di diniego per la nuova targa scritta dai rappresentanti del Molinari si legge che il rifiuto stato deciso “nella speranza che tale iniziativa possa costituire non motivo di divisione, come accaduto anche recentemente… ma occasione per una riflessione autentica e profonda sul periodo drammatico vissuto dal nostro paese”. Nonché una “spinta al superamento della logica perversa dell’odio ideologico”. Una lingua di legno, ideologica e insincera, che tenta, ma non riesce, a nascondere il fastidio – vogliamo chiamarla connivenza? – per il semplice ammettere, cinquant’anni dopo, che la violenza non fu solo di una parte. Invece Sergio Ramelli “è stato ammazzato per un tema che aveva scritto a scuola”, come ha detto lo scrittore Giuseppe Culicchia, che ha appena pubblicato un libro sulla vicenda, “Uccidere un fascista. Sergio Ramelli, una vita spezzata dall’odio” (Mondadori). Culicchia non è sospettabile di partigianeria, ha scritto nel 2021 un libro in cui racconta la storia del brigatista rosso Walter Alasia, suo cugino, “Il tempo di vivere con te”. Cerca con equilibrio e sincerità di raccontare, a beneficio dei giovani, cosa fu la violenza politica di quegli anni.  Eppure alla vigilia del giorno in cui avvenne l’agguato (Ramelli morì il 29 aprile, dopo oltre un mese di agonia) nella vetrina della libreria Feltrinelli in Stazione Centrale il libro di Culicchia, con la fotografia del ragazzo in copertina, è stata messa a testa in giù dalla mano di un volenteroso antifascista. Culicchia ha commentato, riporta il Giornale: “Ci sono persone che dovrebbero vergognarsi di stare al mondo. Ma non sanno cos’è, la vergogna. Pasolini scrisse che si trattava dì razzismo: non sbagliava. Per quanto vi crediate assolti, sarete per sempre coinvolti”. A gennaio, riporta sempre il Giornale, era stato imbrattato un murales dedicato al militante del Fronte della Gioventù, con la scritta “Fasci appesi”. Nel comune di Brugherio, nord est di Milano a pochi kilometri da Crescenzago,  la sinistra è insorta contro la Giunta che intendeva dedicare una via a Ramelli: “Un’operazione di bieco revisionismo”. Ma tranquilli, è solo una “occasione per una riflessione autentica e profonda sul periodo drammatico vissuto dal nostro paese”.
Maurizio Crippa

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  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"