Problemi da affrontare

Cosa ci dicono gli argini toscani sulla manutenzione italiana, e i suoi vizi

Giulio Boccaletti

Tra pioggia e siccità, non si può pensare di affrontare il problema solo con strutture idrauliche. Servono soluzioni dinamiche che possano gestire in maniera flessibile una statistica che cambia e implementare i piani esistenti. Non bisogna ripristinare il passato, ma costruire il futuro

Sono tornate le esondazioni. In Emilia-Romagna, il Lamone minaccia Faenza. In Toscana, la Sieve e L’Arno evocano spettri. Mentre scrivo non sappiamo come andrà a finire. Le piene passeranno. Recupereremo. Ricostruiremo. Ripartiremo. Sta diventando difficile trovare parole diverse per dire la stessa cosa. Piove in maniera più concentrata di quanto non facesse anni fa. Ci sono anche periodi più intensi di siccità. Ce ne dimentichiamo durante le alluvioni ma ci ritroveremo ad affrontare anche queste nei prossimi mesi. Le statistiche meteoclimatiche, insomma, stanno cambiando. 

 

                   

Poiché le nostre difese idrauliche - gli argini, gli invasi, le canalizzazioni secondarie - sono state dimensionate sulle statistiche storiche, è evidente che se queste ultime cambiano, ci ritroveremo sempre più spesso ad essere sopraffatti dagli eventi. Non è “colpa” di nessuno, a parte che è “colpa” di tutti noi nel senso che è stata la rivoluzione industriale a provocare il cambiamento che osserviamo. Ma questa constatazione serve a poco nella gestione della piena o della scarsità che ci colpisce oggi.

Il problema va affrontato. La realtà ce lo ricorderà con crescente frequenza fino a creare una nuova normalità di insicurezza costante. Quindi, con l’acqua che ancora scorre in piena lungo le valli toscane ed emiliano romagnole, ricordiamoci che:

Non serve “ricostruire” il passato. Non sarà mai com’era. La ragione è semplice. Le infrastrutture che stanno faticando a contenere la natura sono state immaginate negli anni Cinquanta per permettere al paese di arrivare fin qui. Adesso servono infrastrutture che ci porteranno oltre il 2050. E per sapere cosa serve, dobbiamo immaginarci come sarà fatto quel futuro. Quale economia. Quali coltivazioni. Quale popolazione. Non ripristinare, ma costruire il futuro.

L’infrastruttura include il territorio. Non si può pensare di affrontare il problema solo con strutture idrauliche. Abbiamo bisogno di soluzioni dinamiche che possano gestire in maniera flessibile una statistica che cambia. La frequenza con la quale gli eventi estremi si presentano (i cosiddetti tempi di ritorno) non sarà la stessa tra 5 anni che avremo tra 15 anni. Le strutture ingegnerizzate sono fondamentali, ma abbiamo bisogno anche di una gestione più dinamica del territorio, dalla gestione del manto forestale al ruolo che le terre agricole giocano nel sistema di sicurezza territoriale. L’infrastruttura di sicurezza idrica che ci serve la vedete quando guardate fuori dalla finestra. È tutto il nostro territorio. 

I piani non servono se poi non si implementano. Non esistono piani perfetti. Ma i piani, perfetti o imperfetti che siano, sono inutili se non vengono implementati. Il piano speciale per la Romagna dell’autorità di bacino del Po è stato preparato più di un anno fa. Ha inventariato cosa serve e quanto costa. Anch’esso sarà imperfetto, certo, ma tutti i piani lo sono. Giace in attesa di approvazioni finali e implementazione. Nel frattempo, se ne contemplano altri, dimenticando che il lavoro non è fare a gara a chi ha il piano migliore, ma risolvere problemi

Vale una parafrasi di una recente esortazione di Mario Draghi: nessuno sa cosa sia la cosa perfetta da fare, ma facciamo qualcosa! Dobbiamo tornare a spendere soldi per modificare il territorio in maniera commensurata al problema, prendendoci anche la responsabilità di fare errori. E se non siamo in grado di farlo, come sembra sia il caso oggi in Italia, quello è il problema più urgente da risolvere. 
 

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