
La piena dell'Arno a Pisa (foto Ansa)
maltempo
Lode allo scolmatore dell'Arno. L'esempio Toscana per le regioni a rischio
Se sabato scorso Firenze ha evitato i rischi più gravi al passaggio della piena è perché lo scolmatore, realizzato nel 1972 e poi migliorato, ha potuto smorzarne l’effetto evitando che a valle si formasse una specie di tappo d’acqua. La lezione va appresa anche per altre città
Come nome il Mose vince su tutta la linea, con quel rimando alle acque da separare a nascondere l’acronimo ingegneristico, e certamente è anche un modello inimitabile di tecnica applicata, un unico mondiale. Ma, pur con il suo nome più umile e una tecnologia che nella concezione fondamentale data all’antico Egitto, allo scolmatore dell’Arno va dato un grande riconoscimento di efficienza e va tributato un grande ringraziamento. Nel 1966 non c’era, anche se era stato progettato poco più di dieci anni prima, dopo una piena che aveva colpito non Firenze ma Pisa. Il progetto era ben concepito e ben basato, perché i dati sulla portata dell’Arno, sulle differenze altimetriche e sulla capacità di reggere le deviazioni del flusso verso il territorio circostante erano ben note già in quegli anni. Nel 1966 non c’era lo scolmatore e non c’erano le vasche di laminazione e Firenze ebbe la terribile alluvione entrata nella storia nazionale. Probabilmente fu anche la tragedia dell’Arno in città ad accelerare i lavori per lo scolmatore, completato nel 1972 e poi ritoccato e migliorato più volte, con ulteriori opere di canalizzazione negli anni Ottanta e poi un rafforzamento della capacità e alcune deviazioni utili a evitare danni ambientali in anni più recenti, con l’ultima miglioria del 2018.
Se sabato scorso Firenze ha evitato i rischi più gravi al passaggio del colmo della piena è perché lo scolmatore aveva potuto smorzarne l’effetto evitando che a valle si formasse una specie di tappo d’acqua. Il fiume e i suoi affluenti del medio corso hanno potuto sfogare i momenti di massima portata trovando spazio a sufficienza.
Allo scolmatore principale si aggiungono poi altre vasche di contenimento a monte del corso dell’Arno e in questo modo i tecnici della regione e delle autorità di controllo possono graduare gli interventi regolando lo smaltimento diciamo così laterale in base alle attese sui massimi flussi. Un metodo semplice, governato dai dati e dalle osservazioni.
Il presidente della Toscana Eugenio Giani nelle ore di maggiore preoccupazione aveva al centro dei suoi pensieri e si direbbe nel suo cuore quell’opera pubblica che gli stava evitando guai ben peggiori di quelli, comunque gravi, cui è andato incontro il territorio di Firenze e dei comuni vicini. Giani ha ricordato in conferenza stampa che alle 15.30 di venerdì, quindi con una perfetta scelta di tempo, è stata ordinata l’apertura dello scolmatore a Pontedera, quindi a circa tre quarti del percorso dell’Arno da Firenze a Pisa, “che ha garantito un flusso costante di 500 metri cubi d’acqua al secondo verso il mare bypassando Pisa, l’ondata di piena è arrivata così in città alleggerita e i possenti carichi d’acqua pur arrivando a due metri dalle spallette non hanno causato tracimazioni”. Mentre, sempre ascoltando Giani, si è saputo che le tre vasche di laminazione di Pizziconi, Levane e Restone hanno avuto un ruolo altrettante decisivo per la salvezza di Firenze e tutto ciò malgrado non siano ancora completamente realizzate.
Il 23 ottobre Giani era andato a fare un sopralluogo sui lavori della vasca di laminazione di Figline Valdarno, nella zona di Pizziconi, con la promessa che i lavori sarebbero stati completati nel primo trimestre 2025. La prova dura è arrivata proprio a ridosso di quel termine, ma l’uso anche parziale è stato sufficiente, perché quella vasca, al massimo del suo uso, tiene più di tre milioni di metri cubi d’acqua. Le altre due sono ancora in provincia di Firenze una e l’altro in provincia di Arezzo.
Il sistema complessivo delle vasche e dello scolmatore, messo appena alla prova, dà sufficienti garanzie per la sicurezza di Firenze, anche se, ovviamente, una serie di opere minori potrà dare lo stesso standard di protezione anche ad altri centri, più esposti e meno difendibili agendo solo sull’intensità dei flussi di acqua. Il lirismo nella gratitudine verso lo scolmatore lo ritroviamo nelle parole del sindaco di Pisa, Michele Conti. Con buone ragioni, perché il primo obiettivo dell’opera è proprio la protezione della sua città, particolarmente esposta perché lì l’Arno ha solo il mare davanti e contro l’effetto muro non ci sono protezioni. “La città è stata salvata ancora una volta dallo scolmatore, opera idraulica voluta dai governi democristiani dei decenni scorsi, che ha permesso di alleggerire in modo decisivo la portata dell’Arno evitando che il fiume invadesse la città, è stato un intervento visionario sul quale sono necessari altri investimenti per renderlo ancora più efficace, ma serve anche un piano per liberare le aree golenali dalle abitazioni private”.
La lezione va appresa anche per altri bacini e altre città, la Toscana ha un territorio molto abitato e soggetto e un forte rischio idrogeologico, eppure è stato possibile realizzare le opere anche con un buon consenso tra la popolazione. La Lombardia e la città di Milano, con le ricorrenti, si può dire annuali, esondazioni del Seveso, l’Emilia-Romagna, e poi la Campania e la Sicilia, solo per citare le situazioni di maggiore rischio, prendano nota del lavoro fatto in Toscana.