Gli errori da non fare nel commentare il disastro dei treni in Puglia
Più di venti morti nello scontro di questa mattina tra Andria e Corato. “Ma prima di accusare la rete ferroviaria privata italiana è bene guardare i dati oggettivi”. Parla Andrea Giuricin, docente di Turismo e Trasporti all’Università di Milano Bicocca
Le prime carrozze si sono sbriciolate, accartocciate in un groviglio di rottami e vetri a pezzi. Sarebbero – al momento – venti i morti e più di trenta i feriti nel disastro ferroviario di questa mattina nella campagna pugliese, tra Andria e Corato. Lo scontro frontale, violentissimo, è avvenuto tra due treni di linea della Bari Nord, sul tratto ferroviario a binario unico gestita da Ferrotramviaria spa. La società privata, costituita nel 1937 dal conte Ugo Pasquini, è proprietaria dei treni e dell’infrastruttura ferroviaria. Convogli nuovi e un sistema computerizzato a dare il via libera. Ma qualcosa è andato storto.
La brutalità dell’incidente scatena subito il bisogno di cercare cause, trovare spiegazioni, affibbiare responsabilità. Viene da chiedersi se il disastro sia stato provocato dal fatto che i treni viaggiavano su binario unico, se la causa sia che i treni erano di una società privata, se la colpa sia della Tav o delle datate infrastrutture del Mezzogiorno - errore umano o meno.
I dati Eurostat sono chiarificatori: nel 2014 gli incidenti ferroviari in Gran Bretagna hanno provocato in totale 34 morti su 65miliardi di passeggeri per chilometro. In Italia i decessi salgono a 113 per 50miliardi di utenti, mentre in Germania i morti sono 300 per 89 miliardi di passeggeri per chilometro. “Solo il 12 per cento delle morti sulla rete ferroviaria”, spiega poi Giuricin “avviene per veri e propri incidenti, come quello di oggi. Significa che l’88 per cento dei casi sono persone o macchine che attraversano passaggi a livello o binari laddove non si può. E non bisogna neppure guardare solamente ai dati del singolo anno”, continua “perché un grave incidente come quello di Bari può far saltare il tavolo. Guardando ai dati di medio e lungo periodo, l’andamento è evidente. Il settore privato è scagionato”. Per quello che riguarda l’alta velocità poi, i dati sono ancora più stringenti: “L’unico incidente è avvenuto in Cina, dove l’infrastruttura è gestita dal settore pubblico”.
La seconda accusa è stata rivolta al binario unico su cui viaggiavano i convogli. “Non è così: è solo questione di gestione, anche sul binario unico esistono i sistemi di sicurezza. Ancora non si sono chiarite le cause dell’incidente, capiremo cosa non ha funzionato. Nell’alta velocità esiste un impianto chiamato Ermts (European Rail Traffic Management System, Ndr). Si tratta di un sistema di gestione, controllo e protezione del traffico ferroviario e relativo segnalamento a bordo, progettato proprio per sostituire i diversi e, tra loro incompatibili, sistemi di circolazione e sicurezza europei. Sui treni di Ferrotramvia immagino ci fossero sistemi di altro tipo”.
Allora hanno ragione quanti sostengono che la colpa è tutta della Tav, che come un’idrovora ha risucchiato tutti i fondi necessari a rimettere in sicurezza le linee secondarie? “Assolutamente no, ribatte Giuricin “perché l’Emts è molto costoso: impossibile da sostenere su 16mila chilometri di linea. Ma le ferrovie italiane hanno comunque sistemi di sicurezza elevatissimi: guardando ai dati il nostro sistema ferroviario è uno dei più sicuri d’Europa”.
L’ultimo luogo comune prevede che la colpa sia del divario nord-sud. Non è un caso che il disastro sia avvenuto in Puglia. “Al sud c’è meno domanda. Questo implica che le linee siano meno potenziate. Non avrebbe senso fare l’alta velocità tra Palermo e Messina, ma ad esempio esiste tra Napoli e Roma e non tra Milano e Venezia”. Ma “il movente meridionalista” non funziona: “gli incidenti accadono anche in altri paesi: nella ricca Baviera, nel febbraio scorso, un tremendo incidente ha provocato 10 morti e decine di feriti. A Crevalcore, in Emilia, nel 2005 morirono 17 persone nello scontro fra un treno merci e un interregionale. Le statistiche non evidenziano questa differenza”.
generazione ansiosa