La tragedia in Puglia e il disastro dei commentatori
E’ inevitabile e anche naturale che quando accade una tragedia come un disastro ferroviario di queste dimensioni e con un così alto tributo di vite, si faccia in una certa misura ricorso alle armi della retorica. Ma nel caso dello scontro tra i due treni in Puglia, tra Andria e Corato, i commentatori si sono lanciati in esercizi di stile tra il manierista e il rococò, completamente sconnessi dai fatti.
Sulla Stampa Massimo Gramellini parte con la stereotipata disamina di vizi e virtù degli italiani: “Quale sarà la vera Italia? L’Italia che nel secolo dell’alta velocità boccheggia ancora sopra un binario unico, oppure quella che di slancio si mette in coda nelle corsie d’ospedale per donare il proprio sangue ai feriti? Il guaio è che sono vere tutte e due. La prima Italia, così ripetitiva e immutabile nei suoi vizi, ogni volta ci sgomenta al punto da farci dimenticare l’esistenza dell’altra, sentimentale o semplicemente viva, che invece sopravvive intatta tra le pieghe del cinismo disseminato a piene mani spesso dai ceti più colti”. Il binario unico prende così il posto del Suv parcheggiato sul marciapiede o in doppia fila e diventa il simbolo dei mali del paese. E chissenefrega se il binario unico non c’entra, se la maggior parte delle ferrovie d’Europa sono a binario unico, dalla Germania alla Svizzera, e basta avere dei sistemi di sicurezza efficienti per evitare incidenti. Sembrerà strano, ma il doppio binario serve là dove c’è un elevato traffico, serve per fa viaggiare merci e persone e non per evitare colliosioni. Perché gli incidenti ferroviari avvengono anche dove c’è il doppio binario se si verificano falle nei sistemi di sicurezza. Ma il discorso su vizi e virtù dell’Italia viene così bene che Gramellini raddoppierebbe seduta stante tutti i binari del paese per far viaggiare i buoni su uno e i cattivi sull’altro.
Sull’Huffington post Lucia Annunziata invece dice che “Tutti siamo pendolari”: “C'è sempre, in Italia, il buco nero di un pozzo che ci si para davanti e su cui ci affacciamo per scoprire quanto fragile, incerta, non garantita sia la vita quotidiana di tutti noi in questo paese. Uno di quei pozzi si è aperto oggi in mezzo agli ulivi sulla linea ferroviaria fra Andria e Corato”. Non ci sono viziosi e virtuosi, siamo tutti nel pozzo nero.
Roberto Saviano invece fa il meridionalista e denuncia lo stato di abbandono delle ferrovie al sud: “A Renzi spetterebbe il compito di rendere il servizio ferroviario dignitoso, un servizio che è abbandonato, trascurato, sottodimensionato. Muoversi in Puglia, in Calabria, in Campania, in Basilicata, in Sicilia è un’impresa da avventurieri”. Stessi commenti sul Sud dimenticato su Avvenire e sul Meridione abbandonato sul Manifesto. Non conta che i treni delle Ferrovie del Nord Barese che si sono scontrati, probabilmente per un errore umano, siano nuovi e moderni e a detta dei pendolari pugliesi abbiano sempre garantito un servizio puntuale ed efficiente, accessibile anche ai non avventurieri. L’immagine dell’arretratezza del sud e dei treni a carbone è talmente forte ed evocativa che non possiamo rinunciarci solo perché la realtà è diversa.
Su Repubblica invece il premio Strega Nicola Lagioia scrive un commento che come stile, per il giusto mix di ars retorica e pathos, sta tra Marco Fabio Quintiliano e Concita De Gregorio: “I treni coinvolti nel terrificante impatto verificatosi tra Andria e Corato non erano convogli ad alta velocità. Erano i mezzi di trasporto su cui ogni giorno si muove il Paese reale. Pendolari. Studenti. Migranti”. Sui regionali non viaggiano quindi gli immigrati o gli stranieri, magari arrivati chissà quanti anni fa, che non hanno ancora diritto ad essere pendolari come gli altri. Viaggiano i migranti, che appunto migrano da Barletta a Corato o da Andria a Ruvo. Ma oltre ai migranti su quei treni viaggiano “camerieri, precari, professori di scuola media, disoccupati, baby sitter, anziani senza mezzi, imbianchini, badanti, interinali, domestici a ore, muratori” e così via. “E’ sufficiente scendere da un Frecciarossa, da un Frecciargento, da un Italo e salire su un regionale” per ritrovarsi “in un mondo molto distante da quello che viene fuori dal racconto ufficiale del paese”. Lagioia svela quindi al Paese immaginario che il Paese reale viaggia “a bassa velocità”: “Sono spesso i corpi e i volti di chi è stato lasciato indietro, di chi lotta con i denti per non essere sbattuto fuori dal consesso sociale”, dice lo scrittore, concludendo che “sono la testimonianza che Pier Paolo Pasolini aveva torto” perché “la pialla dello sviluppo, che avrebbe dovuto rendere tutti uguali, ha avuto il più imprevedibile (e per certi sensi disastroso) degli arresti. Se volete un bagno di realtà, veniteli a incontrare sui treni che viaggiano lenti”.
Ma Lagioia l’ha mai preso un Frecciarossa, un Italo o un Frecciargento, magari non in prima classe? Perché in quei vagoni si vedono proprio le stesse “facce” dei regionali, quelle di persone comuni (al netto della affettata descrizione da diseredati e miserabili). Su Italo e sul Frecciarossa, che con le offerte garantiscono prezzi molto accessibili, viaggiano studenti, imbianchini, immigrati, pendolari, anziani, precari, magari quando devono andare da Torino a Milano, da Roma a Firenze, da Napoli a Bologna. Quando invece devono spostarsi da Corato a Barletta non prendono il Frecciarossa, non perché “sono i nuovi poveri” e con quelle “facce” non li fanno salire, ma perché la distanza è di 20 chilometri. L’alta velocità per la tratta Barletta-Bitonto non c’è perché non serve. Pasolini avrà pure torto, ma Lagioia da quanto tempo non prende un regionale?