L'operazione "moschee trasparenti" di Alfano divide la comunità sunnita italiana
Il ministro convoca un tavolo per discutere la proposta di imporre imam formati e sermoni in italiano. Ma sui social i musulmani protestano: "Siamo in Italia o in Cina?"
Ci sono voluti diversi giorni per capire che qualcosa era successo a quella che sembra essere diventata la Consulta dello scontento convocata dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Lunedì scorso ha chiamato a raccolta gli esponenti di diverse anime della comunità musulmana italiana, per cercare di affrontare in modo decisivo la cosiddetta questione islamica. La discussione era incentrata su un documento redatto da 12 esperti guidati dal professore Paolo Naso sulla necessità di avere moschee “trasparenti”, cioè con imam formati e certificati per guidare i fedeli verso l’integrazione e in grado di predicare sermoni in lingua italiana. Ma alla fine il dibattito ha proseguito sui social network trasformandosi in una protesta contro il ministro Alfano. Sui loro profili Facebook, molti membri e imam delle moschee che fanno riferimento all’Ucoii (l'Unione delle comunità islamiche d'Italia), da sempre divisa al suo interno e accusata di appartenere ai Fratelli musulmani, hanno cominciato a criticare apertamente il titolare del Viminale.
Certo, la presenza di alcuni esponenti dell’Ucoii nella consulta per l’islam è stata riequilibrata, almeno numericamente, dall’arrivo di un nuovo membro: Maryan Ismail, musulmana sufi da sempre in trincea contro l’integralismo, che si è dimessa dalla segreteria regionale del Pd meneghino per protestare contro l’elezione a Milano di Sumaya Abdel Qader, considerata troppo compromessa con l’islam politico. Ma una presenza scomoda, per l’anima più oscurantista della comunità musulmana, non basta da sola a spiegare come mai da alcuni profili di Facebook siano partite accuse pesanti dirette ad Alfano. Soubhy Dachan, figlio del presidente emerito dell’Ucoii, il siriano Nour Dachan appartenente all’ala più intransigente della prima generazione dell’Ucoii, ha scritto: “Siamo in Cina o in Italia? Basterebbe semplicemente riconoscere la religione islamica siglando una o più intese e invece si propone di vedere imam investiti da apparati statali. Siamo alla follia”. E persino un imam giovane, appartenente alla seconda generazione, Brahim Baya, considerato fra i più aperti al dialogo interreligioso a Torino, ha commentato: “Alfano e i suoi esperti offrono lo zero assoluto alla comunità islamica italiana, non viene accennato il riconoscimento della seconda confessione in Italia ed entrano a gamba tesa negli affari di culto, imponendo l’uso della lingua italiana. E così viene confermato per i musulmani d’Italia lo status di sorvegliati speciali”. Scritto da un imam che predica i suoi sermoni in italiano.
Quindi è chiaro che dopo la riunione della consulta si è creata una spaccatura all’interno dell’Ucoii che rivela il timore da parte di molti imam "fai-da-te" di perdere potere e moschee abusive con i vincoli imposti dal Viminale. E infatti il presidente attuale dell’Ucoii, Izzedin Elzir, considerato il volto edulcorato di una comunità che si espande grazie ai fondi arrivati dal Qatar, si è dimostrato come tutti i presenti alla riunione disponibile a condividere la proposta del Viminale. Nessuno, o quasi, di quelli che hanno innescato la polemica su Facebook entra nel merito del documento, tranne qualche voce isolata che critica la dissertazione inserita dagli esperti per sottolineare gli errori di natura teologica, perché il problema è come mantenere l’egemonia nei propri centri di culto. “Sia i musulmani entrati nella consulta sia il ministro Alfano devono tenere presente cosa è stato fatto nei paesi musulmani ed europei”, riflette l’arabista Valentina Colombo. “Non bastano i sermoni in italiano, bisogna verificare tutti i contenuti trasmessi in tutte le attività dei centri islamici”. Come ad esempio nelle scuole coraniche che si presentano come corsi di lingua araba, che si tengono quasi sempre di domenica per tutte le famiglie dei fedeli. Cosa è successo quindi? Quale nervo scoperto ha toccato la proposta degli esperti del Viminale?
Probabilmente molti non hanno gradito di essere stati esclusi dalla consulta, ma soprattutto è chiaro che il ministero dell’Interno ha deciso di cercare di cooptare la parte più disponibile, per così dire, dell’Ucoii e tentare la terza via, aprendo la strada anche ai più moderati di altre anime della comunità musulmana italiana per fermare la deriva integralista. Difficile ipotizzare quale sia il calcolo politico di Alfano, ma una cosa è certa: la comunità sunnita è in subbuglio. Anche perché se il governo dovesse fare sul serio, come pare dai moniti lanciati durante la riunione e dagli stop che ha dato a chi gli chiedeva fondi statali per creare centri di formazione per i propri imam, si verrà a creare uno scontro da non sottovalutare, dopo vent’anni di politica miope sulle moschee. E si verrà a creare il seguente dilemma. Come sostituire gli imam yemeniti formati nell’università fondamentalista di Al Iman, che vivono in Italia senza sapere una parola della lingua del paese che ha dato loro asilo e che predicano in molte moschee-capannoni alle periferie di alcuni comuni lombardi? Come sottrarre la guida dei centri culturali trasformati in moschee abusive gestite da pachistani di fede wahabita? E cosa si fa con gli integralisti balcanici, soprattutto kosovari, che continuano ad arrivare in Italia e che si riuniscono in appartamenti privati? Perché nei 700 centri islamici seminati in tutta la penisola, non c’è solo il problema dell’Ucoii. Alfano afferma che bisogna separare chi prega da chi spara, ma chi andrà a chiudere tutti i centri abusivi dove nessuno parla italiano?
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