Caso Graziano, cade l'accusa di collusione camorra.
La Dda di Napoli ha fatto decadere l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa per l’ex presidente campano del Pd. Ma Saviano, Travaglio, Di Maio, Fico e Di Battista l’avevano già condannato.
E' caduta l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ipotizzata nei confronti dei Stefano Graziano, consigliere regionale della Campania ed ex presidente del Pd campano. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha stralciato la posizione di Graziano dal fascicolo principale ed ha inviato gli atti alla procura di Santa Maria Capua Vetere, lasciando la sola ipotesi di voto di scambio non aggravato dalla finalità camorristica.
Pochi mesi fa, a fine aprile, i carabinieri avevano perquisito l’abitazione dell’allora presidente del Pd campano all’interno di un’inchiesta che aveva portato a nove arresti per associazione a delinquere e corruzione e in cui Graziano era indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il consigliere era sospettato di aver chiesto e ottenuto appoggi elettorali in cambio di favori e appalti dal clan guidato da Michele Zagaria. Il tramite tra i casalesi e il politico sarebbe stato l’imprenditore Alessandro Zagaria, anch’egli arrestato e solo omonimo del boss. Graziano si era immediatamente autosospeso dal partito, dichiarando la sua estraneità e la volontà di incontrare gli inquirenti per “un interrogatorio nel corso del quale potrò fornire ogni spiegazione”. Ora resta in piedi solo l’ipotesi di voto di scambio, l’accusa più grave – quella di aver favorito la camorra – è decaduta.
Eppure era bastato solo l’avviso di garanzia contenente l’ipotesi di collusione con la criminalità organizzata a far partire una feroce campagna mediatica nei confronti di Graziano e del suo partito. Il Movimento 5 Selle aveva immediatamente parlato di “Gomorra Pd” chiedendo le dimissioni di Graziano per essere stato eletto con i voti della camorra. Luigi Di Maio, candidato premier in pectore dei grillini, dichiarava: “Quello di Graziano - il Presidente del Pd campano che prendeva i voti dal clan dei casalesi - è l'ennesimo scandalo che ormai ogni settimana coinvolge il partito di Matteo Renzi”.
Roberto Fico, napoletano e presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai, dichiarava: “Il Pd è un partito distrutto e permeabile a qualsiasi infiltrazione: lobby, gruppi di affaristi, criminalità organizzata”.
E chiamava in causa il premier in persona: “Renzi sapeva o non sapeva di Graziano? È uno scandalo, devono andare tutti a casa”. Alessandro Di Battista se la prendeva invece con il presidente del Pd Matteo Orfini: “L'ipocrita auto-sospensione di Graziano per la GomorraPd è ridicola. Presidente Orfini le vuoi chiedere le dimissioni da consigliere o no?”.
L'ipocrita auto-sospensione di #Graziano per la #GomorraPd è ridicola.Presidente @Orfini le vuoi chiedere le dimissioni da consigliere o no?
— AlessandroDiBattista (@ale_dibattista) 28 aprile 2016
Marco Travaglio sul Fatto quotidiano parlava di “Gomorra della Nazione”: “Renzi aveva appena finito di dire che è passato il tempo della politica subalterna ai pm (ma quando mai) e si è subito scoperto il perché: il presidente del suo partito in Campania preferiva la subalternità alla camorra, per la precisione al clan dei Casalesi”. Roberto Saviano su Repubblica invece scriveva che la vicenda di Graziano simboleggiava “la resa del Pd al meccanismo criminale”.
Pochi giorni fa il rientro di Graziano tra i banchi del consiglio regionale aveva scatenato le proteste dell’opposizione e in particolare del M5s, che ha abbandonato l’aula: “Di fronte a quanto accaduto oggi in aula non posso non ribadire che nel nostro paese si è innocenti fino al terzo grado di giudizio – dichiarava il consigliere – Non posso non sottolineare che ricevere un avviso di garanzia non può essere equiparato ad una sentenza di condanna o ad un attestato di colpevolezza ma è, appunto, uno strumento posto a tutela dell’indagato durante la delicata fase delle indagini”. Ora resta in piedi l’ipotesi di voto di scambio, ma è caduta l’accusa più grave di concorso esterno in associazione mafiosa, quella sui cui tutti avevano già emesso le sentenze.
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