Retorica sulla deportazione no grazie
Gli insegnanti dell’entroterra siciliano o della cinta vesuviana che lamentano la deportazione sulla Riviera ligure o sull’Isola d’Elba sono come i soldati russi rinchiusi nelle carceri napoleoniche, che in “Amore e guerra” di Woody Allen si lagnano di dover mangiare foie gras anziché zuppa di bietole. Ai moti del corpo docente di Palermo e di Napoli la ministra Giannini ha dato una risposta quantitativa (i trasferimenti incriminati costituiscono il dieci per cento della mobilità straordinaria) a cui vanno aggiunte alcune argomentazioni qualitative. Il Foglio ha già spiegato che esiste il diritto allo studio ma non il diritto all’insegnamento, e che è più facile trasferire un professore da sud a nord che intere classi da nord a sud. La sedentarietà dei docenti malmostosi è frutto dell’eccessiva abitudine alla cattedra: se prima avessero fatto un altro mestiere, saprebbero quanto spesso per lavorare è necessario inseguire il soldo in luoghi che bisogna farsi piacere.
Certo, le famiglie vengono dilaniate dai trasferimenti: per questo la protesta degli insegnanti è un’occasione rivoluzionaria per mettere in discussione la parità di trattamento fra maschi e femmine. Per l’insegnante madre di due bimbi di tre e cinque anni, il trasferimento in una regione lontana è una privazione, un danno; ma un insegnante padre degli stessi bimbi potrebbe sopportare il trasferimento con disinvoltura e magari inconfessato sollievo. Perché non considerarli come casistiche differenti? Non parliamo delle insegnanti che parlano di famiglia rovinata perché vengono abdotte lontano da figli adolescenti, i quali staranno probabilmente scrivendo in segreto alla ministra per ringraziarla. Sovente queste madri mature troppo protettive spacciano per errore dell’algoritmo che regola i trasferimenti la precedenza data a colleghi più giovani, vincitori di concorso anziché precari storici. Bene; se le si vuole accontentare, tanto vale dichiarare che il principio del merito è carta straccia e che per fare carriera nell’istruzione basta respirare a lungo. E’ un criterio come un altro, ma lo spirito della Buona Scuola andava in direzione opposta.
Ciò conduce a un problema più vasto, nucleo indicibile della protesta: la scuola italiana rilascia titoli che hanno lo stesso valore, siano essi conseguiti in un buon istituto o in uno pessimo, in una scuola del nord o in una del sud. Ovvio dunque che gli insegnanti, se una scuola vale come un’altra, pretendano di insegnare in quella sotto casa. La Fondazione Agnelli e i test Invalsi raccontano però una storia ben diversa, con uno iato che colloca le scuole migliori in cima e quelle peggiori verso il fondo della cartina geografica. Lo Stato fa quel che può per perequare la situazione ma, se gli insegnanti immobilisti insistono, si potrebbe creare una graduatoria per chi vuole restare al sud e una per gli avventurosi che prediligono il nord, a patto di differenziare anche i titoli di studio in base alla qualità degli istituti che li rilasciano.